In Toscana non abbiamo bisogno e non vogliamo stazioni di polizia cinesi. Sono a Firenze e a Prato, dove si trova la più grande comunità cinese in Italia, secondo un rapporto della ONG spagnola per i diritti umani Safeguard Defender. Oltre a Firenze e Prato ce ne sono altre a Milano, Roma, Venezia, Bolzano e in Sicilia. Il piano delle stazioni di polizia cinesi potrebbe essere visto come un altro esempio della crescente portata globale della Cina, della minaccia percepita per la democrazia e dei suoi valori e della volontà di limitare i nemici politici di Pechino ovunque si trovino. La città di Milano è stata utilizzata dalla polizia cinese come banco di prova per una strategia di polizia verso la popolazione cinese in Europa e costringere i dissidenti a tornare in Cina. Pare essere assolutamente assurdo permettere al Partito Comunista Cinese di istituite proprie stazioni di polizia in Toscana e nelle altre città italiane. Questa è la Cina che aumenta le tensioni e che cerca di esigere il proprio regime repressivo in tutto il mondo. Secondo l’ONG con sede a Madrid, il governo del Presidente Xi Jinping ha istituito più di un centinaio di stazioni di polizia in diversi Paesi per monitorare l’attività delle grandi diaspore cinesi, anche utilizzando accordi di sicurezza bilaterali come copertura. Pechino ha negato le accuse, sostenendo che le stazioni di polizia non ufficiali aiutano i cittadini cinesi espatriati con servizi burocratici come il rilascio del passaporto e di nuove patenti di guida. Ogni attività che vada oltre i servizi consolari e colpisca gli esuli cinesi violerebbe il diritto internazionale. La Cina ha accordi di stazioni di polizia con il nostro Paese, ma sembra che a seguito di nuove indagini altre ne sono emerse in Germania, Canada, Stati Uniti, Paesi Bassi, Irlanda, Spagna e recentemente anche in Croazia, Serbia e in Romania. Un sistema che, secondo Safeguard Defender, viene utilizzato per molestare, minacciare, intimidire e costringere i cinesi dissidenti alla volontà del Partito Comunista a tornare in Cina per essere perseguitati. La stessa ONG afferma di avere le prove di intimidazioni utilizzate per costringe le persone a tornare dall’Italia in Cina, come nel caso di un operaio di Prato accusato di appropriazione indebita che è tornato in Cina dopo 13 anni in Italia ed è scomparso senza lasciare traccia.
Tuttavia, contestare l’idea che l’Occidente e la Cina si stiano dirigendo verso uno scontro sembra essere sempre più un’eresia sia a Bruxelles che a Washington. Questa è una nuova realtà molto pericolosa poiché restringe lo spazio per ragionamenti sobri e strategici sulle implicazioni di una possibile potenziale futura resa dei conti nel Pacifico.
Enzo Sossi
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