“Si dice che ogni persona è un’isola, e non è vero, ogni persona è un silenzio, questo sì, un silenzio, ciascuna con il proprio silenzio, ciascuna con il silenzio che è”.
José Saramago
In questi anni, chi mi conosce lo sa, mi sono spesso battuta per affermare un’identità isolana che andasse al di là del “sole mare spiaggia ombrelloni”, convinta come sono che l’Elba in effetti sia molto altro.
Terza per estensione geografica tra le isole d’Italia (anche se, ammetto, la Sicilia e la Sardegna la staccano di un bel pò) l’Elba ha il grande pregio di mantenere forte il suo carattere insulare, l’idea di confine, limite, isolamento a volte aspro e selvaggio, proprio grazie alla sua superficie contenuta rispetto alle prime due, sposandolo a una importante varietà in termini di habitat (la sua conformazione geologica in effetti, consente di passare rapidamente da spiagge di sabbia a boschi di castagno, fino a vette di granito che conoscono la neve in inverno, passando per miniere di ferro, veri e propri giacimenti di minerali come l’ilvaite, l’ematite, il quarzo. L’Elba non è semplicemente “bella” ma è straordinariamente ricca in termini naturalistici (non a caso rientra, insieme alle altre sei sorelle dell’Arcipelago Toscano, all’interno dei confini di un Parco Nazionale) così come in termini di storia (non fermatevi a Napoleone: quest’isola ha ospitato fenici, etruschi, insediamenti villanoviani e, c’è chi dice, persino gli argonauti). L’Elba è, di fatto, una miniera a cielo aperto, un coacervo di storie e di cultura, di risorse naturalistiche e suggestioni che ad oggi continuano a ispirare poeti, pittori, scultori e sono sempre fermamente convinta che ospitare persone sull’isola, significhi in prima battuta rendere tutte queste storie accessibili e condivisibili a chi passa di qua. Non ci credo, non l’ho mai fatto, che il senso del mio lavoro sia offrire un letto, un pasto, un giardino, una piscina, un giardino sulla scogliera del mare. Non ci credo a prescindere, perché ogni giorno, ogni volta che ci approcciamo a qualcosa, dovremmo essere in grado di chiederci COSA stiamo facendo, quale è il senso che stiamo producendo nel “fare”. Credo che per trovare una risposta sensata, appunto, si debba in primo luogo contestualizzare il proprio fare e trovare quindi nel luogo che ci sta ospitando una importante risorsa. Tutte le volte che cediamo alla lusinga di pensare che un posto vale l’altro perché è il mero sfondo del nostro agire, dimentichiamo che noi interagiamo con i luoghi, siamo intessuti della loro storia.Facciamo un esempio: siciliana di origine, ho vissuto tra la Germania e Firenze, all’oscuro delle mie radici, senza conoscere la storia della mia famiglia, trascorrendo qualche sporadica vacanza a Messina, avendo un vago ricordo del profumo di zagara, della pasta di mandorle e della caponata di mia nonna Carmela. Figlia di persone che, con il pianto nel cuore hanno scelto di lasciare l’isola per trovare fortuna, non ho mai coltivato un consapevole interesse per l’isola delle mie origini, vivendo un pò sospesa, senza radici. Ebbene, ora che da 15 anni ormai vivo all’Elba, capisco che invece le mie radici sono forti e che non è un caso se sono qua, ora, a parlare di terre lambite dall’acqua salata, di luoghi nei quali il senso del limite ti perseguita notte e giorno perché il mare è sempre lì, ovunque tu ti giri, a ravvivare il tuo senso di finitezza perché io, isola sono dentro. Capisco anche che se il contesto è determinante per chi lo vive, lo è anche per chi lo visita perchè, di fatto, è come se lo vivesse “a tempo determinato” e che il senso del viaggio non può prescindere dalla storia del luogo che lo ospita.
Per tutti questi motivi, sono sempre più determinata a far parlare il luogo, attraverso la sua Natura e le persone che lo vivono e a offrire a chi passa di qua occasioni di conoscenza, esperienza, scambio, condivisione.
Le idee si affacciano copiose e molti sono i contatti che ho avviato: adesso non mi resta che aspettare fiduciosa quello che arriverà.