Tra le date importanti di questo Paese, è bene ricordare quella relativa all’8 settembre, o per chi non si fosse dedicato a qualche approfondimento, quella del 3 settembre, giorno in cui effettivamente l’Italia aveva firmato l’armistizio ma, impreparati a gestire l’ovvia reazione tedesca, fu rinviato giorno per giorno in attesa di qualche miracolo finché il generale Dwight Eisenhower dette stizzito l’annuncio obbligando Badoglio a fare il famoso annuncio alle 19,42 di quel tragico 8 settembre.
Il comportamento etico-sociale di una nazione si vede soprattutto nei momenti piu’ severi, e la guerra ne è uno di questi; infatti, coerentemente ai decenni precedenti, i gruppi dirigenti italiani furono colti da uno squallido desiderio centrifugo: i generali con le famiglie ed alcuni ministri fuggirono da Roma, il re con un’improvvisata e scombinata fuga si diresse a Brindisi.
L’Italia che si svegliò il 9 settembre si trovò senza re, senza governo, senza generali e soprattutto in balia di un alleato che era divenuto nemico ed un nemico ora trasformatosi in alleato, entrambi nello stesso teatro di guerra; favolosa e tragicamente comica la frase di Alberto Sordi nel film “Tutti a casa”, quando, lui capitano di una divisione militare, telefonando ad un proprio superiore, lo avvisa che i “tedeschi si sono alleati con gli americani ed adesso ci sparano addosso!”
Pochi sono a conoscenza che l’allora ministro guardasigilli Grandi, il 25 luglio 1943, durante l’ODG che abbattè di fatto il fascismo, portava nelle tasche due bombe a mano; stupefacente ed ulteriore tassello di un Paese che attraverso il ventennio fascista aveva realizzato l’autobiografia di se stesso; una classe dirigente pavida, sostanzialmente incapace, buona soltanto a rinviare ed indisposta a scelte gravi; industriali che nella quasi totalità si appoggiarono alla politica per succhiare il succhiabile e per non rischiare nulla; una borghesia tendenzialmente disonesta e furbina, che esercitava una autoassolutoria protesta anticasta per poi affidarsi al capopopolo in transito; una massa di genti che applaudì sotto Piazza Venezia le reiterate dichiarazioni di guerra (Francia, Gran Bretagna, URSS, USA, Grecia, etc…) senza preoccuparsi minimamente del dopo.
Come ricorda sulla Stampa Mattia Feltri ci aveva visto giusto Malaparte: “e assai piu’ difficile perdere una guerra che vincerla. A vincerla sono tutti buoni, non tutti sono capaci di perderla”.
Da allora noi tutti accreditiamo la diagnosi di Flaiano, correndo in soccorso del vincitore.
In questi momenti di crisi nazionale ed internazionale sarebbe utile ripartire dalle esperienze passate per tentare di affrontare le nuove sfide con occhi nuovi ed atteggiamenti meno ideologici e piu’ assertivi, verso noi e verso chi verrà dopo di noi.
Buon otto settembre a tutti.
Michele Mazzarri