Verrà replicato due volte al giorno, alle 17,30 e alle 21,30 dal 1 al 6 Gennaio il secondo capitolo de "Lo Hobbit" dal titolo "La Desolazione di Smaug" che modifica e incupisce molto la storia originale, creando un'atmosfera epica ed emozionante
TRAMA
Bilbo, Gandalf e i 12 nani capitanati da Thorin Scudodiquercia procedono il loro viaggio tra ragni giganti, uomini orso e il fondamentale incontro con gli elfi silvani di Legolas. Ad un passo dalla meta però Gandalf è costretto a separarsi dalla compagnia per affrontare prove più importanti da solo, mentre i nani e Bilbo giungono a Pontelagolungo, alle pendici del monte in cui riposa il drago Smaug. Determinato a riprendere quel che è suo Thorin Scudodiquercia non attende Gandalf e decide di procedere da solo inviando come pattuito Bilbo a rubare l'Arkengemma dal drago dormiente.
È una lotta titanica (ma straordinaria per gli spettatori) quella tra Peter Jackson e il testo originario dell'autore che per la seconda volta ha impavidamente scelto di adattare, costruendo da sè una montagna ancor più impervia che in precedenza. Se infatti la trilogia Il signore degli anelli, comprimeva tre libri in tre film, brillando per come la capacità di sintesi non asciugasse i momenti più importanti della loro forza, Lo hobbit dilata un libricino in tre film. Invece che selezionare, comprimere e scartare Jackson aggiunge, crea e arricchisce, in una sfida impossibile per essere allo stesso livello del materiale di partenza. E in questo secondo film, le creazioni del regista sono decisamente più evidenti che nel primo.
L'obiettivo delle aggiunte e delle mille piccole modifiche è rendere effettivamente Lo hobbit un prequel a Il signore degli anelli. Il libro fu scritto prima ma, pur facendo da base per alcuni presupposti e qualche evento, non è effettivamente collegato in ogni sua parte alla trilogia che sarebbe stata pubblicata quasi 20 anni dopo. Cinematograficamente invece Jackson rilegge Lo Hobbit di Tolkien e lo mette in scena con il senno di poi, iniettando premonizioni, epifanie e imbastendo scontri preparatori alla grande guerra dell'anello. In un certo senso quell'integrazione che non è presente nei libri la ricrea nei film, adattando molto anche i toni. Là dove Tolkien usava la matita leggera, Jackson appesantisce il tratto, non solo attraverso la prefigurazione di eventi futuri (che gli spettatori hanno visto nella trilogia precedente) ma anche rappresentando gli elfi già cupi e torvi come durante la guerra dell'anello o rifiutando il favolismo che contraddistingue il libro. Sicuramente ne guadagna in coerenza tutta quella che sarà un'esalogia ma in certi punti si avverte qualche caduta di stile o strumento stonato rispetto al resto (la storia d'amore interraziale decisamente non sembra in linea con l'idea di romanticismo tolkeniana).
Qualsivoglia dubbio o perplessità scompare però quando entra in scena il villain del racconto: Smaug, il drago. Non è solo la potenza della figura, l'acume dei dialoghi che scambia con Bilbo e la perfezione della resa grafica ma proprio la capacità straordinaria che da tempo riconosciamo a Peter Jackson di non fallire l'obiettivo più importante e saper manipolare il cinema per creare un'atmosfera epica ed emozionante, centrando così l'unico obiettivo che conti davvero. Tutto il meglio delle idee e delle trovate di La desolazione di Smaug si trovano assieme al tesoro dei nani, nascoste sotto una montagna sconfinata di monete d'oro con questo carismatico cattivo, le cui dimensioni ci sono suggerite con grandissima intelligenza filmica facendo muovere cumuli d'oro molto lontani tra loro e la cui pancia s'illumina prima di sputare fuoco.
In quell'antro suggestivo, così agognato per un film e mezzo e così stupefacente nella sua immensità, questo secondo film trova se stesso e l'epica migliore, riuscendo a convincere della bontà generale dell'operazione. Come già Un viaggio inaspettato anche questo secondo film arriva in alcuni cinema in HFR (oltre che in 3D), ovvero a 48 fotogrammi al secondo invece dei tradizionali 24, soluzione scelta dal regista per la maggiore qualità dell'immagine. Di contro però l'estrema fluidità di un sovranumero di fotogrammi è inizialmente fastidiosa e fa somigliare l'immagine filmica a quella televisiva, risultando in un'impressione di scarsa qualità. In realtà è il contrario e il senso di fastidio è dovuto all'abitudine che abbiamo per i 24 fotogrammi al secondo, abitudine che comunque già nella seconda metà del film non si avverte più.
recensione di Gabriele Nolia