Ci siamo abituati tutti alla celebre citazione gattopardesca del “se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi” e spesso ce ne siamo così convinti che l'abbiamo utilizzata anche per intepretare in modo assoluto ciò che ci circonda. L'immobilismo di questo paese. La granitica verità delle disuguaglianze tra le classi sociali che lo compongono. La continuità nella gestione del potere. Tutte semplici verità che sembrerebbero non far altro che confermare la saggezza dei Salina, simbolo di quel 10% delle aristocrazie borghesi che in Italia detengono il 56% della richezza nazionale.
Ma l'articolata complessità del mondo è ben altra cosa dalle frasi celebri. E la semplificazione dei fenomeni sociali e politici può essere rischiosa e sbagliata. Le piccole verità ad effetto, ancorché squisite e colte, vanno bene davanti alle tavole imbandite da fiaschi di vino. Meno durante il resto della giornata. Nel corso del tempo, le cose che sono cambiate non sempre sono rimaste com'erano. Molte volte esse sono solo peggiorate.
Nel 1998, l'allora governo Prodi, nelle vesti del Ministro Berlinguer istituiva la figura del Dirigente Scolastico, ruolo nominale, si pensò, ben più prestigioso del vecchio e consunto Preside o, peggio ancora, del Direttore Didattico. Con la scuola dell'autonomia (1997) nasceva una nuova figura dirigenziale, inquadrata a tutti gli effetti nella dirigenza dello Stato (Area V), figura che aveva l'arduo compito di traghettare le scuole italiane verso la modernità del secolo XXI. Per come è andata a finire si dirà che nulla è cambiato. Che aveva ragione il principe Tancredi: Viva il Gattopardo! Guardando come è andata a finire, si potrebbe rispondere: magari...
La trasformazione della figura del vecchio e stimato Preside si è plasmata con l'evoluzione dei tempi. Al trionfo dell'idea dello Stato-Azienda si è affiancata quella del Dirigente Scolastico-Manager, pronto a gestire risorse finaziarie e strumentali a sua disposizione, intento a coordinare e valorizzare il personale scolastico, presidere commissioni d'esame e concorsi a cattedre, curare la sicurezza sul lavoro, firmare atti e circolari, dirigere Consigli d'Istituto e Collegi. Un tutto fare a cui il Miniestero ha delegato responsabilità e piccoli poteri, scaricando sulle sue spalle firme e controfirme, timbri e regolamenti, applicazione di circolari e resoconti finanziari. Di management nella sua direzione c'è poco, e questo, per la scuola pubblica, è un bene, peggio è che si sia voluto copiare all'italiana il liberismo anglosassone, mascherando d'aziendalismo una volgare operazione di tagli di spesa.
Il nostro Tancredi immaginario è un giovane bello e intelligente. Entra nella stanza e si siede con cura. Si guarda intorno a schiena dritta. Un armadietto di metallo. Fascicoli e pile di carta in un angolo. Sulle pareti la fotografia di Napolitano.
– Dirigente posso farle una domanda? - dice.
– Certo.
Bussano alla porta.
– Mi scusi principe. Avanti.
– C'è da firmare.
La porta si richiude.
– Diceva?
– Se posso farle una domanda.
Squilla il telefono. Il Dirigente risponde. E' un genitore che si lamenta perché suo figlio ha preso un'insufficienza. Il Dirigente spiega e poi riattacca.
– Se potesse tornebbe a fare l'insegante?
Il Dirigente lo scruta. Si lascia andare sullo schienale e guarda fuori dalla finestra.
– Anche domani. Ma non si può. Una volta scelto non si torna indietro. E' la legge.
La situazione della nostra isola è nota in tutta la provincia. La percentuale di istituti comprensivi più alta, il livello di precarietà con percentuali che, in alcune scuole, raggiungono l'80%, il tasso di dispersione scolastica che supera quello dei quartieri nord di Livorno. E da tre anni, abbiamo anche il primato di avere due Dirigenti che coprono tutte le scuole di infanzia, primaria e primo grado dell'Elba e uno che viene da Piombino per presiedere l'ISIS Foresi di Portoferraio. Un preside ogni mille alunni, distribuiti su un territorio intercomunale che va da Cavo a Marina di Campo, da San Giovanni a Marciana alta, che per spostarsi può essere necessaria un'ora di macchina, il tempo che da Livorno si raggiunge Firenze. Responsabile della sicurezza dei luoghi di lavoro, ma senza avere la possibilità di intevenire perchè gestiti da amministrazioni comunali differenti, con diverse efficienze, disponibilità economiche, organizzazione. Un dirigente tutto fare che cura bilanci finanziari pari al fatturato di una panetteria, ma messo sotto torchio dai revisori dei conti ministeriali che controllano ogni centesimo di spesa effettuata dalla scuola: un libro, un pennarello, il cencio per pulire le scale. Tutto rendicontato, tibrato, fotocopiato, firmato. Un sistema burocratico gigantesco, elefantiaco, impreciso, ambiguo.
Negli ultimi anni ci siamo abituati al cambio di significato delle parole. Efficientare significa accorpare e ridurre. Tagliare gli sprechi è uguale a risparmiare riducendo i servizi. Riformare, che in un tempo antico e ormai perduto voleva dire dare nuova e migliore forma a qualcosa (re- “di nuovo”), è passato a miglior vita linguistica con il significato di modificare in peggio, ridurre, scorporare, spezzare, licenziare, tagliare.
Il Dirigente torna con gli occhi fissi su Tancredi.
– Sa da quanto tempo non mi occupo più di didattica?
Il principe spazza via con il guanto un granello di polvere dai pantaloni lucidi.
– Troppi anni. Troppi.
Il dirigete si drizza sullo schienale e si volta verso il computer.
– Adesso mi deve scusare. Torno al lavoro. E' tardi anche per le fantasie.
Marco Marmeggi