Che poi è Venerdi.
Domani arriva il Sabato del Villaggio.
La donzelletta che viene dalla Campagna non reca un mazzolino di rose e viole, no.
Semmai decido di ornarmi di parole.
A patto di averne, in serbo, nel cuore.
Sono stati giorni densi.
In alcuni ho pensato che mi sarei prosciugata di lacrime, che non ne avrei avute più, nemmeno una, da far colare lungo il viso.
Ho pianto, copiosamente ho pianto.
Non di tristezza. Non solo.
Ho pianto di Liberazione.
Sai quando hai la cantina piena di di materassi sfondati, ferri vecchi, tavolini a tre zampe, vasi sbeccati. Cose inutili, insomma, ma che non butti, per paura che un giorno ti servano. Poi realizzi che quel giorno non arriva mai e che vivere nell’eventualità non equivale a vivere l’opportunità.
Così sono scesa in quel luogo rigorosamente buio e poco frequentato, ho acceso la luce che quasi abbaglia, ché gli occhi si erano abituati alla penombra del tragitto, e a occhi socchiusi ho iniziato a guardare. No, ho iniziato a vedere.
Cosa? quello che mi stava sotto il naso. Ho realizzato con estrema semplicità e chiarezza che posso fare spazio, buttare via, lasciare andare, prepararmi al nuovo e mentre rido di sollievo per lo spazio che finalmente conquisto (perché si, Mondo, forse non te ne sei accorto ma ci sono anche io) piango .
Piango per quella pelle che mi si sta staccando di dosso, che non mi fa più da ornamento. Che si, lo sapevo che era ormai secca, senza vita ma ci avevo fatto l’abitudine a girarci per il mondo insieme.
Piango di giorno e di notte, che manco lo so ma mi sveglio con il cuscino umido e i pensieri che galleggiano.
Piango di dispiacere, per le occasioni mancate, le volte in cui non ho ringraziato abbastanza, stavo nel correre e nel tenere. Piango perché invece ora ci sono. Sto nel bel mezzo di me stessa e guardo negli occhi le cose, le persone, le situazioni e improvvisamente rido, leggera.
Rido degli affanni superflui, dei finti problemi, del valzer di ruoli, dello sgomitarsi addosso, delle presunte posizioni di potere (potere di cosa, poi?), delle menzogne e dei compromessi, dell’affannarsi a sembrare dimenticando di essere. Rido di me, quando perdo di vista l’utile e inseguo il futile. Rido di quello che credevo essere un problema e che l’alchimia del mio piccolo cuore ha trasformato in formidabile opportunità.
Sorrido del sole che mi è venuto a trovare e che entra sfacciato nella mia stanza. Sorrido del profumo di zagare e pitosforo in fiore, di zolle rovesciate all’aria che sostengono germogli e frutti verdi. C’è così tanta bellezza nel mondo, che gli occhi faticano a tenerla in grembo. Questo pensiero mi fa girare la testa.
Sorrido, perché vado ad abbracciare una cara amica, una donna forte e dignitosa che non piange il suo uomo ma ringrazia dell’amore che si sono scambiati, della gentilezza del suo animo e del piacere di averne bevuto almeno un sorso.
Vado ad abbracciare una donna che conosce la tempesta e l’arsura, il succo amaro e quello dolce della vita e che non per questo smette di seminare la sua bellezza con parole pulite e luminosi propositi.
Dal giardino arriva profumo di zagare e lascio che si mescoli ai miei pensieri: ho pronto un mazzolino di parole e viole.
Tatiana, aspettami.
Francesca Campagna da http://fravolacolcuore.com/