Tratto da “A tavola con l’Imperatore” di Alvaro Claudi
All’Isola d’Elba, nel primo Ottocento, le abitudini alimentari non sono molto differenti dal resto della penisola. L’attività principale degli isolani è la coltivazione della vite, con un’abbondante produzione di vino destinato in gran parte all’esportazione e in parte, con l’aggiunta di peperoncino, riservato al consumo interno. L’agricoltura viene praticata in maniera sufficiente da soddisfare il fabbisogno interno: ortaggi vari come carciofi, cavoli, fave, piselli e cipolle vengono coltivati in abbondanza, mentre misconosciuti e poco usati sono i pomodori e le patate. A questo si tenta di rimediare: l’attenzione riservata dalle istituzioni alla coltivazione e all’alimentazione degli isolani è testimoniata dall’offerta che, nel 1817, l’Uffizio Generale della Comunità del Granducato di Toscana porge al Sindaco di Portoferraio. Un esemplare del libretto intitolato “Della coltivazione delle patate e loro uso” affinchè: “il contenuto del precitato libretto sia reso noto al possibile agli Abitanti di codesta Comunità”. La Pesca, seppur poco praticata dagli elbani livello professionale, rappresenta una risorsa importante per il fabbisogno alimentare e non sono pochi coloro che la esercitano per il proprio uso familiare. Notevole è l’apporto di frutta e verdure rimediate dagli orti spontanei offerti da Madre Natura: la frutta secca, ricavata per lo più dai fichi, mandorle e uva, che maturano i abbondanza sul territorio, oltre a soddisfare il mercato isolano viene destinata all’esportazione. Nei paesi d’alta quota i castagni rappresentano un’altra risorsa importante per le famiglie: la farina ricavata dall’essiccazione delle castagne, preziosa per la preparazione della polenta, i buon parte dell’anno rappresenta un ottimo sostituto del pane. Il consumo della carne è riservato ai giorni festivi ed è limitato all’impiego di carne ricavata dagli animali da cortile. La carne bovina è usata esclusivamente i occasione delle feste “grosse”, la care di maiale consumata d’inverno e il capretto o la capra in primavera. Il latte più diffuso tra il popolo è quello ricavato dalla mungitura delle capre, mentre quello vaccino, più raro, è riservato alla classe più abbiente.
I prodotti da forno, sia freschi che a lunga conservazione, sono reperibili sul mercato locale e sono ottenuti per la maggior parte con la farina ricavata dalla macinatura di grao tipico delle isole dell’Arcipelago detto “biancolino”. A Portoferraio sono in vendita tre tipi di pane: alla francese, pane fine all’usanza del Paese e pane bruno, ossia ordinario. No le tipologie di pane, ma quelle di vendita furono oggetto di un contenzioso: il 4 giugno 1814 il sindaco Traditi, dovendo farsi interprete delle lamentele della cittadinanza, interrompe l’”abominevole uso di vendere il pane a taccio” fissandone il prezzo e imponendo ai venditori l’utilizzo di “bilance inastate” al fine di vendere il pane a peso, come oggi è di uso comune. Un’economia quasi del tutto autonoma: tra i pochi prodotti alimentari di importazione non riservati ai più facoltosi non mancavano il baccalà, lo stoccafisso, i vermicelli, le aringhe, le salacche e le olive, mentre i pesci conservati come il tono salato o sott’olio, acciughe e sardine era sufficiente la produzione locale. Spezie, balsami, liquori, riso, caffè e cioccolato sono importati dal continente e, dato l’alto costo, sono appannaggio esclusivo dei palati delle classi più agiate.
Questa è la situazione socio-economica di Portoferraio e dell’Isola d’Elba che Napoleone trova al momento in cui, i seguito alla sconfitta di Lipsia e al conseguente trattato si Fontainbleau, viene costretto ad abdicare e a subire l’esilio all’Isola d’Elba.
Le cronache dell’epoca ci narrano che Napoleone approda a Portoferraio alle ore 15.30 del 4 maggio 1814, sbarcato dalla corvetta inglese Undaunted che l sera prima aveva gettato le ancore nella rada antistante. Una folla curiosa ed eccitata, proveniente u po’ da tutta l’isola, si riunisce nella città per porgere il saluto al nuovo signore dell’Elba. Sono tutti desiderosi di vedere d vicino il condottiero che, dopo aver abilmente manovrato le sue pedine sulla scacchiera europea, è ora costretto, quasi per scherno, ad assumere il governo di un così piccolo territorio. Nonostante i limiti del raggio d’azione e l’irrilevanza dell’isola nel contesto europeo, Napoleone non tradisce la propria indole di comandante e statista. Durante i dieci mesi di esilio apporta infatti miglioramenti di cui ancor oggi si colgono i benefici: apre nuove strade, riattiva i commerci e le industrie estrattive, sviluppa la pesca attraverso la creazione di nuove tonnare, incentiva l’agricoltura introducendo nuove sementi e promuovendo nuove tecniche di coltivazione. Tutto questo ha lasciato indubbiamente una traccia anche nelle innovazioni alimentari che hanno migliorato la cucina degli isolani.
Anche se Napoleone non era un gran gourmet può essere considerato un pioniere della valorizzazione e incentivazione dei prodotti del territorio elbano. Quali fossero le sue preferenze fra i tanti prodotti dell’isola non ci è dato sapere con certezza.
Secondo lo storico portoferraiese Giuseppe Ninci in una sola occasione Napoleone espresse apprezzamento per un piatto: il cacciucco. Durante una passeggiata lungo la darsena medicea l’imperatore fu incuriosito dall’appetito con cui alcuni pescatori mangiavano sulla loro imbarcazione una zuppa di pesce e chiese di assaggiarla. Trovandola gustosissima decise di invitare a corte per il giorno seguente l’artefice di tale leccornia ma, con delusione, ammise di on aver rinvenuto la stessa delizia. Ne buongustaio ne gran bevitore, Napoleone beve poco vino e quel poco l’annacqua; il suo corpo non lo regge bene e le sue sbornie sono cattive e pessimistiche.
Apprezza invece l’Aleatico, nel quale inzuppa i biscotti, e il passito, sorseggiato nelle frequenti visite che a Portolongone fa in casa del suo ufficiale d’ordinanza Carlo Perez. Goloso di dolci teneva i gran considerazione il suo pasticcere-confettiere Pierrot al quale aveva fatto assegnare uno spazio ai piani inferiori di servizio.
Nelle rimesse, vicino alle scuderie, sono custoditi assieme a carrozze, berline e landò, un calesse per la caccia, una carrozza-letto da viaggio e il “calesse da pranzo” che doveva essere sempre pronto e dotato di frutta fresca, limoni, vino e acquavite. Alla Palazzina dei Mulini o al Teatro dei Vigilanti si organizzano spesso delle feste da ballo dove, oltre alla corte, si invitano le famiglie più illustri dell’isola costituite per lo più da armatori, proprietari terrieri, proprietari di imprese, professionisti e commercianti.
Valter Giuliani http://www.elbataste.com/