Ci sono, lo sanno i navigatori di lungo corso, isole che in diversi punti del mondo, di tanto in tanto, appaiono e poi scompaiono, reimmergendosi nel mare. E’ il caso dell’isola Ferdinandea, quattro chilometri quadrati di terra che emersero per alcuni mesi tra Sciacca e l’isola di Pantelleria nel 1831. La nuova terra fu contesa, per la sua posizione strategica, da Inghilterra, Francia e Regno delle due Sicilie, per poi inabissarsi pochi mesi dopo l’apparizione. C’è Nosy Volona, un’isoletta nelle acque del Madagascar che appare e scompare con il movimento delle maree, o l’isola Surtsey, in Islanda, che emerse dalle acque, crescendo di oltre cento metri in altezza, in seguito a un’eruzione vulcanica sottomarina e fu visibile solo fra il 1963 e il 1967.
Un’isola magica e misteriosa
E’ questa, dell’isola che appare e scompare a ritmi regolari, ogni seconda settimana di maggio, l’impressione che mi dà (forse è frutto del titolo della rubrica di Elbareport) il Salone del Libro di Torino, che da una ventina d’anni rientra nelle mie abitudini giornalistiche. Il Salone pare davvero un’isola magica e misteriosa che per cinque giorni, all’interno di quello che una volta era il Lingotto (una parte essenziale della vecchia fabbrica della Fiat), si popola di stand, palcoscenici, libri, eventi, visitatori, scrittori, lettori, scolaresche, addetti ai lavori e vive una vita propria, intensa, impossibile ad essere colta nella sua interezza e complessità, come un organismo in cui ogni cellula contribuisce autonomamente alla vita dell’intero organismo. Una specie di caos in cui chiunque provi a comprendere e raccontare avrà un’impressione e una visione diversa da ogni altro osservatore, a seconda degli interessi, dell’umore, dello sguardo, del punto di vista. Una visione completa, a 360°, di quest’isola sarà sempre impossibile. E non sarà un caso che lo stesso “comunicato finale” degli organizzatori non riesca oggettivamente a contenere l’evento neppure nelle sue 17 pagine, a cui comunque rimandiamo i più curiosi, quelli che vogliono andare oltre i numeri che testimoniano i 340.000 ingressi, gli 82.000 visitatori, i 2.762 giornalisti che hanno assistito agli eventi, l’aumento (per la prima volta, dopo anni di crisi) delle vendite dei libri negli stand degli editori maggiori e minori.
Bene in vista
Dell’aria e del carattere che quest’isola ha assunto negli ultimi sedici anni uno dei maggiori artefici è Ernesto Ferrero che un’isola, proprio l’Elba, conosce davvero, perché la frequenta da tempo e perché ha scritto quel libro, “N.”, dedicato a Napoleone all’Elba, che quest’anno è tornato in vetrina nelle librerie. E’ lui il direttore generale del Salone, lui che ha fortemente voluto mettere al centro i “valori” intorno a un tema conduttore, di anno in anno diverso. (Lo ricorda Roberto Moisio, che ha scritto per Marsilio una bella storia del Salone, Un romanzo di carta). “Bene in vista” era la frase-chiave del Salone di quest’anno, illustrato da un’immagine in cui un bambino guarda sorridente in un binocolo di carta, come per cercare un futuro migliore.
Dopo essere stato per anni al Salone come giornalista, quest’anno ho avuto la fortuna di partecipare come autore, tra quei mille e più scrittori, docenti, traduttori, editor o editori, cantanti, attori, ecc. ecc. che hanno intrattenuto in 350 eventi, in 150 luoghi diversi dei tre grandi padiglioni i visitatori del Salone. Ma a sua volta ogni autore, prima e dopo quell’ora di impegno personale, si immerge nell’oceano di libri, curiosa tra editori e titoli di ogni genere, entra a far parte di quel fiume umano che incredibilmente, a dispetto di ogni statistica e pessimismo più o meno cosmico su dove va la nostra società, rende viva, forte, popolata l’isola della lettura del Lingotto. Nella fiumana di persone ho girato in lungo e in largo il salone per quattro giorni, ho percorso chilometri di libri, mi sono lasciato invadere dai temi e da alcuni eventi. Per ricavarne qualche impressione da condividere qui.
Era certo strano e insolito vedere al centro del Salone, nel luogo tradizionale del Paese ospite d’onore, una riproduzione della Cupola di San Pietro fatta di libri, perché quest’anno l’ospitalità tradizione del Salone era il Vaticano con la sua editoria, con “bene in vista”, gioiello tra i gioielli dei Musei vaticani, un’edizione della Divina Commedia illustrata da Botticelli. Così, nell’week-end in cui il traffico di Roma era bloccato dai 300.000 giovani per Papa Francesco, i suoi libri apparivano nel capoluogo piemontese in tutta la loro espansione, specchio di un fenomeno che sta incidendo sulla cultura e sull’editoria: sono 243 i libri pubblicati su Francesco, 125 suoi, 118 su di lui.
Etica e dialogo
I temi etici sono stati centrali nei giorni del Salone, a partire dall’intenso dibattito tra Claudio Magris e il cardinale Gianfranco Ravasi, che ha permesso di toccare il tema della compresenza e dell’interconnesssione tra bene e male nella nostra vita, nella società, negli stessi simboli e metafore più usati. “La croce che una volta era il simbolo della condanna a morte – osservava ad esempio il cardinal Ravasi – si è trasformata nel suo contrario”. E Magris invitava con forza a superare la vecchia distinzione tra “cattolici” e “laici” “perché è una scorrettezza linguistica e logica, laico è un modo di pensare che può appartenere a tutti”.
Era come se su quest’isola torinese della lettura ritornasse in più forme il tema dell’incontro, del dialogo, della ricerca di valori capaci di andare davvero oltre le tradizionali distinzioni e contrapposizioni tra “laici” e “religiosi”. Mi è capitato così di sentire Michele Serra raccontare del suo “cammino di Santiago” in cui ha incontrato il primo cattolico (un frate francescano) dopo quattro giorni di pellegrinaggio, di ascoltare dalle pagine dei Diari inediti di Tiziano Terzani, nell’incontro più affollato del Salone, un inno alla sacralità del matrimonio; o la rivalutazione dell’amore “per sempre” dello psicanalista lacaniano Massimo Recalcati. Delle urla, degli strepiti, degli insulti che sono ormai pane quotidiano del “dibattito” (?) politico, tra le mura del Lingotto non arrivava nulla. Sembrava di essere in un mondo a misura d’uomo e di dialogo, dove sarebbe bello vivere tutti i giorni. Mi ha colpito vedere code incredibili e ordinatissime (come si fosse in un altro Paese) per ascoltare il fotografo Steve McCurry, tanto da costringere gli organizzatori a fare un doppio incontro di mezz’ora al posto di quello previsto di un’ora. Mi ha colpito il silenzio, la tensione e l’attenzione che si creava nelle sale degli incontri intorno alle parole di decine di autori, con una capacità di ascolto che non è usuale cogliere nella vita di tutti i giorni. Di vedere Francesco De Gregori, Ivano Fossati, Francesco Guccini protagonisti attesi e amati come sempre, che si esprimevano non attraverso le loro canzoni ma con la scrittura e il racconto.
Di ritorno da Torino mi sono chiesto dove e come si vedrà traccia nelle città, nei paesi, per le strade, nella vita quotidiana di tutti questi abitanti dell’isola della lettura del Salone del libro di ogni età e categoria sociale, forse non proprio marziani, che si disperderanno, porteranno con sé il ricordo, gli echi di parole e racconti, gli stimoli, le idee, i libri incontrati qui. Per quanto mi riguarda i miei quattro lettori, possono starne sicuri, li ritroveranno su queste pagine virtuali, nelle prossime settimane.
Luciano Minerva http://www.elbadipaul.it/