Adesso ho capito chi è Maristella Giulianetti. L’ho capito leggendo un suo articolo su Elbareport dal titolo “Una famiglia strana”. E’ la figlia di Domenico, insegnate di disegno tecnico all’avviamento di Rio Elba nei lontani anni 50. E ora capisco anche perché ero rimasto colpito da un suo articolo che lessi alcuni mesi fa, sempre su Elbareport.
E’ vero che, il Prof. Giulianetti non si faceva pagare le ripetizioni. E per me, fece molto di più e vorrei raccontarlo
L’ultimo giorno di scuola, dopo la distribuzione delle pagelle di terza avviamento, mi fece cenno di seguirlo. Entrammo nella stanza delle riunioni dove c’erano i professori seduti intorno ad un grande tavolo. Lui andò dietro, si mise al centro e mi disse che i professori erano pronti a firmare una richiesta da inviare alla direzione dell’istituto Tecnico Industriale di Livorno in modo che io potessi continuare a studiare a spese dell’istituto. “Naturalmente - disse - dovrai mettere la testa a posto e non combinare guai“ Mi ricordo un professore che accennò ad un sorriso ironico.
Oltre a questo dovevo prender l’impegno di andare 4 volte alla settimana durante l’estate a San Giovanni, dove lui mi avrebbe preparato, e poi aiutato a fare un lavoro che avrebbe spedito a Livorno. Significava, per me, rinunciare alla spiaggia con gli amici ecc.
Gli dissi che io a Livorno mi sarei comportato bene, ma non avevamo soldi per pagare le lezioni. Ma neanche per comperare libri o quaderni, se ci volevano.
Mio padre, gli dissi, aveva avuto un incidente in miniera ed era all'ospedale. Mi interruppe e mi disse che avrebbe pensato a tutto lui.
Cosi, verso le 2 del pomeriggio di un giorno dei primi di luglio, mia madre fece 4 nodi ad un fazzoletto, me lo mise in testa e mi disse: “Quando trovi un po’ d’ombra fermati e riposati e cerca di un sudà“
Ma quando, dopo circa un ora arrivai a San Giovanni, entrai in un grande androne di una casa che una volta era stata un mulino ed era qualche metro dal mare. C’era fresco e sentii la camicia bagnata sulla schiena.
Feci le scale interne ed entrai in una stanza dove il professore aveva preparato tutto. Mi colpì anche, appeso alla parete sinistra, un quadretto con la testa del Davide di Michelangelo eseguito a sanguigna.
Fu un‘estate faticosa. A volte, arrivavo assetato e chiedevo un po’ d’acqua. Il professore mi stava dietro e non mi permetteva di distrarmi; e così per circa due ore. Dopo me ne tornavo a Rio. Poi, negli ultimi 15 giorni mi disse che bisognava fare un disegno molto complesso. Mise sul tavolo un grande foglio di carta Fabriano, un compasso professionale, riga a “T“, squadra e una scatola di Lapis Castell di diverse durezze. Mise anche una lametta e un pezzetto di carta vetrata fine, per fare le punte. Si rivelò un lavoro molto difficile. Appena terminato lo spedì alla direzione della scuola a Livorno. Il disegno, grazie soprattutto a lui, andava bene, ma per loro, non andavo bene io. Si erano informati su di me
Per mia madre e mio padre fu una delusione, ma l’unico che non si scoraggiò fu lui, che intervenne presso il ricovero dei Vecchi di Livorno, il Giovanni Pascoli, dove c’era anche l’orfanatrofio. Aveva saputo che avevano intenzione di aprire un paio di stanze per studenti poveri, da tenerli con una retta quasi inesistente. “Dovrai vivere per qualche mese con quei bimbi. Uscirai solo per andare a scuola. Non ti preoccupare, poi ti ci abitui”
Fu un gran sacrificio, non tanto perché nei letti delle camerate non c’erano lenzuola e dormivamo imballati in coperte militari e mangiavano in specie di bozzere di alluminio, ma, soprattutto, perché non potevo sopportare la mancanza di libertà. Così cominciai ad agitarmi e alla fine dell’anno mi espulsero.
Siccome a scuola ero stato promosso, l’anno dopo trovai una, vecchietta che mi prese in casa facendomi pagare pochissimo. Comunque i miei si indebitarono. A scuola andavo bene, ma ero inquieto, così, al terzo anno ne combinai una più grossa delle altre e, all’inizio del secondo trimestre, fui espulso.
Allora mi consigliarono di andare al Liceo Artistico a Firenze, dove ripartii da capo.
Penso che succeda a tutti di ricordare con tenerezza una professoressa o un professore che si è stimato ed al quale si è voluto bene. Ma nel caso mio, il rapporto che avevo con il prof. Giulianetti era una cosa diversa. Per esempio, non mi fece mai un complimento, ma quello che fece per me, lo poteva fare solo un padre generoso e severo. E anche un padre preoccupato, visto che conosceva bene il mio temperamento.
Non aveva torto: io, infatti, non riuscii a stare tranquillo e a non combinare guai. Certo, era un periodo duro quello, ed io avevo avuto un' infanzia difficile e una natura inquieta ma, nonostante questo, a distanza di tanti anni, quando penso a lui, i ricordi arrivano nitidi, ma purtroppo, accompagnati anche dai rimorsi.
Qualche tempo fa, ho parlato di lui con un mio amico di classe. Mi ricordava quella volta che ci eravamo organizzati per andare a fare una partitella. C’era lo sciopero degli autobus e i professori non potevano venire. Stavamo per incominciare, quando un rumore martellante ci fece voltare verso la chiesa del Padreterno. Un trattore era sbucato da dietro la curva. Ci guardammo perplessi, poi uno disse: “Nooo! Voi vedé che è il prof. Giulianetti?“ Dieci minuti dopo eravamo tutti in classe.
Leggendo quello che ha scritto la figlia Maristella, sarà anche una famiglia strana, come titolava Elbareport, ma è anche una famiglia molto, ma molto speciale.