Nella vita a differenza degli scacchi, la vita continua dopo lo scacco matto (Isaac Asimov).
Sullo scoglio vi sono dei progetti per portare il gioco degli scacchi nelle scuole elementari e medie. Per fare diventare la scuola un luogo aperto anche di pomeriggio. Dove ai bambini venga data l’opportunità di imparare il nobil gioco, per diventare dei cittadini migliori, consapevoli, rispettosi delle regole e dell’avversario. Desidero raccontare una favola, una storia cruda che parla del valore educativo e pedagogico degli scacchi. Sono di parte, gioco a scacchi da quando avevo cinque anni, grazie a mio padre. Desidero dare il mio contributo con l’aiuto di altri all’isola meravigliosa che mi ha accolto.
Immagina di vivere in un mondo distopico, periferico, tossico dimenticato da tutti. Fatto di soprusi, violenza, droga, marginalità. Con enormi casermoni tutti uguali e senza anima. Dormitori anonimi controllati da bande criminali che come cani scabbiosi sono pieni di rabbia e combattono per sopravvivere. Un mondo distopico senza opportunità dove decide il caso. Se nasci figlio di un ladro farai il ladro, se nasci figlio di un prostituta farai la puttana. Madri disperate che vendono i figli adolescenti per una dose forse per mangiare. Vecchi al tramonto della vita che comprano per due monete corpi piegati dalla droga.
Una società malata in cui bambini abbandonano la scuola a dieci, undici anni per vendersi al soldo di criminali senza scrupoli privi di onore e dignità che li usano come venditori di droga, come venditori di morte. Criminali tossici, nocivi, inutili come l’edera da estirpare prima che soffochino chi gli da la vita. Bambine con il viso truccato, con seni piccoli che si procurano con il sesso gli oggetti che vedono nelle pubblicità delle televisioni accese tutto il giorno in case vuote. Status symbol tanto inutili quanto futili. Famiglie assenti prese dal tran-tran dai problemi quotidiani. La vita è dura per tutti, ma se sei povero lo è ancora di più. Istituzioni inesistenti che hanno perso ogni realtà, abbandonando le periferie per ritirarsi sulla collina in fortini di filo spinato con la videosorveglianza h24 e guardie armate. Boss della droga che vivono in case lussuose con parco e piscina, circondati da alte mura che li dividono dal mondo reale. Hanno macchine e moto di grossa cilindrata. Un benessere effimero, fittizio, apparente comprato con i soldi di disperati drogati che per una dose sono disposti a tutto.
Qui vive Luna. E’ ucraina figlia di una guerra inutile e incomprensibile come tutte le guerre. Vive nella periferia anonima di una grande metropoli da quando aveva cinque anni. Sua madre si è trasferita per dare un futuro alla figlia dopo che il padre è stato ucciso nella guerra del 2014 nel Donbass. Non conosce altro, questo ora è il suo mondo. Alta per i suoi tredici anni, capelli lunghi, rossi, occhi verdi, seni piccoli poco sviluppati, una carnagione chiara piena di lentiggini, un corpo perfetto, si muove con una grazia naturale. Parla poco e a differenza delle sue amiche tiktoker che sono sempre connesse con l’Iphone ama giocare a scacchi, vuole pensare, gli piace riflettere. E’ stato il padre a insegnarle a muovere il cavallo, il re, la regina. Ogni volta che gioca pensa a lui. Non è una spingi legno. Perde quasi tutte le partite, non ha dimestichezza con il gioco immortale. Poi le cose cambiano, continua a giocare a scacchi e sviluppa nuove strategie e tecniche, comincia a vincere. Conosce un ragazzo, Andrea, dai capelli neri, occhi scuri, la pelle come l’ebano, un fascino esotico.
Nato in Italia da genitori Tuareg, gli uomini blu del deserto del Sahara. Con tradizioni, usi e costumi matriarcali. In casa è la madre a prendere le decisioni a guidare la famiglia. Ha sedici anni è più grande di Luna. Vivono nello stesso quartiere. Andrea è un ragazzo strano, forse strambo. Non si droga, non beve, non fuma. Rispetta i genitori. Non fa il galoppino per i venditori di droga, per i venditori di morte. Molti erano suoi amici, da piccoli giocavano insieme. Hanno preso strade diverse. Non si fidano di lui, lo vedono come un estraneo, lo credono un infame perché non vuole i soldi facili della droga. Vuole studiare, andare a scuola, cercare di avere un’opportunità, è curioso, intelligente. Vuole laurearsi. E’ solare, gioca a scacchi, ha conosciuto il nobil gioco al liceo e da quel momento è il più bravo di tutti.
Luna e Andrea si sono incontrati alla fermata dell’autobus che porta in centro. Dalla tasca di Andrea cade il cavallo. Luna lo raccoglie e nel darglielo lo guarda negli occhi: “sai giocare a scacchi”. Se ne innamora in quell’istante. Il principe azzurro delle favole, dei suoi sogni di bambina. Così si sono conosciuti. Il caso, il destino, Dio. Sono credente, mi piace pensare che sia stata la volontà di Dio. Da quel momento sono diventati amici. Si vedono nei giardini del quartiere per giocare a scacchi. Non parlano molto, anzi quasi per niente, si mettono seduti uno di fronte all’altra separati dalla scacchiera. Si cercano con gli occhi, con lo sguardo si desiderano, si amano di un amore puro intenso senza limiti senza confini e cominciano a muover i pezzi sulla scacchiera. Prima i pedoni, poi i cavalli, le torri, gli alfieri, i re, le regine, fino alla mossa finale dello scacco matto. Si dimenticano di tutto, della realtà che li circonda, della violenza, della gente cattiva, invidiosa, egoista con scarsi principi e priva di valori di etica. Personaggi ambigui, opachi, oscuri come ratti che escono dalle fogne, come gli imprenditori intercettati che esultano alla notizia del terremoto all’Aquila perché si sarebbero spartiti i soldi della ricostruzione. Vivono entrambi nella case dei “puffi” come vengono chiamate le case popolari del loro quartiere. Sono liberi, si sentono liberi, sono felici, gli scacchi sono la loro passione. Si amano immensamente. Sono grati a Dio per averli fatti incontrare, per il dono della vita. Sono benedetti da Dio. Insieme si sentono forti, si fanno coraggio e sono pronti ad affrontare la partita a scacchi con la vita.
Buona fortuna, Luna e Andrea.
Enzo Sossi