Come si evince da numerose agenzie di stampa Legambiente ha pubblicato a maggio 2014 i risultati dell’indagine “Beach litter” condotta dall’associazione su protocollo scientifico del MATT e dell’ISPRA, concernente quantità e tipologia di rifiuti presenti sulle spiagge italiane;
Dall’indagine risulta che il 65% dei rifiuti è costituito da plastica. Il rapporto sostiene inoltre che solo una ridotta frazione di rifiuti finisce sulla costa, mentre la maggior parte affonda in mare, e che quindi le quantità di rifiuti trovati sulle nostre spiagge è solo la punta dell’iceberg di un inquinamento diffuso dei nostri mari;
è altresì nota da tempo la presenza di grandi accumuli di plastica in tutto il mondo dovuti agli scarichi in mare o da terraferma. Gli effetti sulla fauna marina sono rilevanti, così come le conseguenze derivanti dal minor assorbimento di gas effetto serra e dalla mancata produzione di ossigeno da parte del fitoplancton. Tale è la situazione nel cosiddetto Pacific Trash Vortex, una delle cinque aree del pianeta a maggior accumulo di rifiuti plastici, ma vortici simili, seppure molto più ridotti, le cosiddette “zuppe di plastica”, sembrano esserci anche nel nord del Tirreno e in altre aree del Mediterraneo;
Inoltre, calamità naturali e altre emergenze ambientali contribuiscono costantemente al degrado delle condizioni di vita dell’ecosistema oceanico e marino. Si pensi, ad esempio, il maremoto del marzo 2011 in Giappone ha prodotto un’enorme massa di rifiuti, trascinati in pieno oceano al ritiro delle acque dalla terraferma ed il Mare Mediterraneo non è immune da questo problema;
Un articolo pubblicato sulla rivista scientifica “Marine Pollution Bulletin” riporta che alti livelli di microplastiche nel santuario dei cetacei del Mar Ligure. Lo studio, condotto dal gruppo di ricerca dell’Università di Siena, in collaborazione anche con la Marina Militare, finanziato dal ministero dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare, ha fornito tre dati, i primi a livello internazionale su questo tema: il 56% dei campioni di plancton superficiale nell’area del Santuario dei Cetacei contiene particelle di microplastica, con un valore elevato; nel plancton è molto alto il livello degli ftalati, composti additivi della plastica nocivi per la salute dei mammiferi e classificati come “distruttori endocrini”, sostanze che interferiscono con la riproduzione; è stato provato che gli ftalati presenti nel plancton vengono metabolizzati e possono avere effetti tossici sui cetacei, con alte concentrazioni rilevate nell’adipe sottocutaneo di 4 balenottere comuni su 5 ritrovate spiaggiate lungo le coste italiane. In base alle analisi effettuate su 7 capodogli spiaggiati sule coste pugliesi il 17 dicembre 2009, 4 di questi, avevano lo stomaco pieno di buste di plastica, ingerite perché scambiate per calamari, gli altri 3 li hanno seguiti spiaggiandosi anch’essi. Un analogo effetto si registra con le tartarughe marine che scambiano le buste di plastica in sospensione, per meduse (il loro cibo preferito) trovando spesso la morte per soffocamento. Il problema interessa anche l’avifauna marina; nell’apparato digerente di molti uccelli marini non è infrequente rinvenire oggetti di plastica;
è poi opportuno ricordare che ftalati e PCB, accumulati nell’organismo di pesci e molluschi, possono essere assunti anche dall’uomo attraverso la catena alimentare;
l’allarme per l’inquinamento da plastica in mare, a livello planetario, ha superato l’allarme per inquinamento da idrocarburi, come dimostrato dalla preoccupazione espressa o non solo dalle organizzazioni ambientaliste, ma anche da organismi internazionali quali l’UNEP e la FAO;
Della necessità di gestire e ridurre radicalmente la marine litter si occupa anche la Marine Strategy dell’Unione europea e più volte il commissario Ue all’ambiente, Janez Potočnik, nella passata legislatura europea, ha ricordato l’importanza di azioni concrete contro le plastiche e le microplastiche nei mari europei, in particolare nel Mediterraneo, sottolineando che, visto anche il crescente utilizzo delle plastiche, occorre mettere in atto efficaci strategie di consumo, raccolta, riciclo e riutilizzo dei materiali plastici ed avviare azioni di prevenzione e di ripulitura delle coste affinché le plastiche non arrivino in mare, spesso attraverso fiumi ed altri corsi d’acqua, producendo poi microplastiche attraverso il loro degrado, oppure depositandosi sui fondali o nei canyon sottomarini;
A disposizione dello Stato Italiano vi è una flotta messa a disposizione da “Castalia”, per finalità di lotta all’inquinamento marino; tale flotta è composta da 9 unità di altura e 26 unità costiere, per un totale di 35 navi. Risulta poi che il Corpo delle Capitanerie di Porto e la Marina Militare dispongono di unità equipaggiate per la lotta all’inquinamento marino;
quali iniziative urgenti il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare intenda mettere in campo, magari promuovendo iniziative ad hoc per la salvaguardia dell’ambiente marino con tutti i Paesi rivieraschi nel Mediterraneo, a tutela dei nostri mari e per la raccolta e il trattamento delle plastiche disperse in mare. Se la flotta Castalia, le unità anti-inquinamento delle Capitanerie di porto e delle Marina Militare, dispongano, o abbiano allo studio, dispositivi idonei per la bonifica di rifiuti a base di materie plastiche in mare, tenendo conto della diversa dimensione che tali rifiuti possano avere.
Ermete Realacci
Le foto della serie #stoplastica sono di Federico Serradimigni