Ancora una volta sono bastate piogge intense, come i 60 mmm caduti in mezz’ora nel Riese, per mettere a nudo tutta la fragilità di un territorio mal costruito e mal difeso, come nel caso dell’assurdo muro del Riale a Rio Marina, dove si sono costruire strade e parcheggi e costruzioni praticamente accanto ad un fosso.
Ormai siamo stanchi di di avere ragione: le aree colpite anche questa volta all’Elba sono le stesse per le quali Legambiente aveva denunciato una insostenibile cementificazione, a rileggere i nostri comunicati stampa, anche recenti, ricorrono i nomi delle località che oggi troviamo travolte dal fango e dalle frane.
Come ha detto l’11 novembre il coordinatore di Italiasicura, il sottosegretario Erasmo D’Angelis agli stati generali sul dissesto idrogeologico, «Anche a toponomastica indica le zone a rischio in cui non si doveva costruire».
Gli amministratori comunali, invece di presentare assurdi ricorsi al Tar e osservazioni pro-cemento contro il Piano Paesaggistico della regione Toscana, invece di continuare a mostrarsi allergici ed a cercare di aggirare i vicoli che dovevano salvaguardare il territorio, farebbero bene a fare autocritica ed a rendersi conto che l’era dell’assalto alle valli ed alle colline è finita e che il è arrivata l’ora di ammettere che l’Elba non può sostenere altro cemento, altro asfalto, altre grandi opere, altri parcheggi e costruzioni negli alvei dei fossi. Bisogna farla finita di scavare le colline, bisogna smetterla con “messe in sicurezza” e con opere che al contrario sembrano amplificare i rischi, che non si possono più tombare i corsi d’acqua, bisogna capire che il cambiamento climatico e gli eventi atmosferici sempre più violenti ed intensi rendono urgentissima l’unica grande opera della quale l’Elba e l’Italia hanno bisogno: il ripristino dell’equilibrio di un territorio ferito dalla cattiva pianificazione e la sua manutenzione.