Miopi, stupide e gratuite sono le offese di taluni ambienti ai proprietari di seconde che rivendicano, non elemosinano legittimi e dignitosi sconti tariffari per l’andirivieni sui traghetti. Non sono accattoni da strapazzo, né appartengono a qualche riserva nomade da ghettizzare. Sono diverse decine di migliaia accasatisi nell’isola nell’arco di una 50ina di anni e che portano ogni anno milioni di euro all’economia isolana. Sborsano più quattrini dei residenti con l’Imu dedicata solo a loro, e condita con la Tasi e la Tari (la tassa sui rifiuti pagata non a consumo ma a pieno prezzo annuale), pagano luce e acqua a costi maggiorati. Ma non battono ciglio, al massimo mugugnano, perché sono davvero innamorati dell’isola. Altrimenti avrebbero abbandonato baracca e burattini da un pezzo per andarsene verso lidi più a buon mercato. Oggi, fra le mete più ricercate, spicca la Tunisia che, a un paio di ore di aereo (e non a mezza giornata di viaggio fra auto e nave), offre paradisi in terra a spese stracciate e a fisco zero.
Non sono vacanzieri mordi e fuggi. Convivono, fraternizzano, persino si sposano sul posto, insomma stabiliscono legami duraturi con gli isolani. Grazie a loro l’edilizia è sempre in moto; si sono moltiplicate le imprese di servizio, industria e commercio non vanno in letargo o campicchiano in attesa del ritorno dei turisti. Con il loro tam tam fra amici, parenti e colleghi di lavoro contribuiscono alla promozione e alla crescita dell’isola meglio di aziende turistiche che spandono e spendono con scarso costrutto. Non da oggi sono disposti a pagare anche più di un euro per la tassa di sbarco, purchè i quattrini siano davvero destinati, come peraltro prevede lo statuto della gestione associata fra i Comuni, a risolvere cronici disservizi e non a perdersi in iniziative improduttive. I soldi distribuiti a larghe mani per i mille rivoli delle manifestazioni napoleoniche non hanno portato nel 2014 né un turista in più, nè un visitatore in più nei musei imperiali.
Quando noi pionieri approdammo sullo Scoglio negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, l’economia non solo era arretrata, ma era finita in ginocchio nonostante gli aiuti della Cassa per il Mezzogiorno. La chiusura degli altiforni di Portoferraio aveva impartito un colpo mortale. Contadini e vignaroli faticavano a sbarcare il lunario. Si esportava a quattro soldi vini da taglio strappati con tanto sudore dai vigneti di montagna. In molti ripresero la via delle emigrazioni verso le Americhe.
Quando arrivò il benessere con il turismo di massa, noi non scappammo schifati come fecero tanti vip. Ci hanno seguito generazioni di continentali che hanno scoperto e riscoperto con noi le bellezze della “nostra isola”, chiudendo spesso un occhio alla lacunosa accoglienza. Penso che meriteremmo non tirate d’orecchio, ma la soddisfazione della cittadinanza onoraria.
Risparmiare sulle tariffe dei traghetti di qualche centinaia di euro all’anno significa incoraggiarci a sfidare i rigori e le solitudini invernali pur non di non perdere il piacere del contatto non con la seconda casa bensì con la casa dell’isola del cuore.
Romano Bartoloni giornalista, “pugginco” di adozione dal 1956