“Siamo alle porte coi sassi”, si dice a Firenze; e l’avrei detto a proposito della scadenza elettorale, se questa volta non fosse diverso, almeno per me. Mi pare che non ci siano né porte né sassi. Né strade da intraprendere, né mete vicine o lontane. Il muro del potere costruito dal nuovo Cesare è più impenetrabile di quello di Berlino –che teneva chiusi quelli che erano dentro, ricordiamolo, non quelli che erano fuori-. In perfetta continuità con il partner del Nazzareno, l’opera è completata: la politica è stata bandita, con la dialettica che ne è l’anima e la cultura che ne è la sostanza. Senza subdole mediazioni di mass media, senza mendaci imbonitori: il nuovo Dominus teorizza apertamente quello che fa, e dice che è buono e giusto, e che chi non è d’accordo è un conservatore, un immobilista, un gufo. Entra nel tempio della cultura politica, della scienza giuridica, delle teorie dei patti sociali –dalla Costituzione alle relazioni industriali- e prende a picconate i monumenti della storia civile del nostro paese additandoli come feticci di antichi idolatri. Non da solo e neanche con pochi seguaci: ormai il carro del vincitore ha accolto legioni di militanti, e chi ancora è fuori si sente un po’ spaurito.
L’ebbrezza del pragmatismo del fare non ha lasciato un angolo libero per alcuna riflessione sul come e perché. L’inutilità della riforma costituzionale è clamorosa, ma serve a semplificare i meccanismi del potere, come del resto la riforma elettorale. Si sarebbe potuto utilizzare tutto il tempo che c’è voluto a non fare nulla per interrogarsi sul degrado della democrazia rappresentativa di tradizione liberale, e per provare a immaginare forme innovative da porre a sostanza di una riforma efficace della politica, e davvero provare a ridisegnare le istituzioni. Si poteva provare ad affrontare il grave problema della redistribuzione del reddito, ma si è ricorsi a piene mani allo strumento contabile delle ‘partite di giro’ per dare l’impressione di un dinamismo in realtà solo formale: e si sono dati ottanta euro ad alcune categorie di cittadini togliendo le indicizzazioni dei redditi di altre categorie, ma sempre lasciando immuni coloro che davvero possiedono ricchezze spropositate (il 10% dei contribuenti italiani possiede oltre il quaranta per cento della ricchezza nazionale; i dieci cittadini più ricchi d’Italia possiedono una ricchezza pari a quella dei sei milioni di cittadini più poveri: dieci contro sei milioni, non c’è errore). E anche per i lavoratori beneficiati dagli ottanta euro sarà bene rammentare che alle imprese è stato dato un contributo pari a dieci volte la somma investita per loro. Da ultimo, ai pensionati defraudati viene dato un bonus a risarcimento, se hanno pensioni inferiori a un tot abbastanza modesto. Un bonus?, ma come un bonus? E’ solo la recidiva di un furto perpetrato dal grande Monti, perché “ce lo chiedeva l’Europa”.
Tutto questo per dire che guardo con ammirazione quegli amici di sempre che ancora sono sul fronte, come sempre per tutte le battaglie, con la purezza che fu degli eroi e dei martiri (da noi mi sia permesso di ricordare Maria Grazia Mazzei, e Sergio Rossi, e altri anche -non pochi-, che ancora una volta cercheranno di testimoniare la possibilità di una politica senza investiture carismatiche e senza leader per diritto divino). Non mi ritiro in alcuna torre d’avorio, e seguirò il loro e ogni altro tentativo di far rinascere la vita nella politica italiana e locale. A loro faccio i miei migliori auguri, e mi è grato far sentire loro la mia simpatia. Ma non ce la faccio, ora, a scendere in trincea con loro.
Le immagini della Grande Guerra che in questi giorni sono in televisione costituiscono quasi una metafora della nostra condizione, come il terremoto del Nepal, o la follia delle guerre arabe. Di fronte a tali cataclismi tutto ciò che ci accade intorno appare piccolo piccolo. E torna in mente il terribile giudizio di Tacito: “Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace”. Non rimaniamo inerti; ma prepariamoci bene alla prossima guerra. Sarà lunga e dura.
Luigi Totaro