Non credo proprio che gli eventi cui stiamo assistendo possano essere affrontati nei modi che si leggono o che si ascoltano (anche all’Isola d’Elba, tanto per non restare indietro).
Migranti. Se ne parla ancora con superficialità, spesso senza eccessiva partecipazione o voglia di capire, spesso con fastidio, tra populismi di pancia della prima o dell’ultima ora, da parte di soggetti di ogni tipo: fiutatori di nuove opportunità, politici in cerca di consenso, cittadini, affaristi, speculatori, eroici e spesso improvvisati salvatori, malavitosi, europei miopi ed egoisti, ipocriti, colonialisti culturali o militari od economici, persone di carità e di buona volontà.
Migranti, come se il questo termine fosse realmente rappresentativo ed esaustivo di quell’universo in movimento: fuggitivi, perseguitati, sognatori, disperati, incoscienti, affamati, delinquenti, cinici approfittatori, terroristi, portatori di religioni e di concezioni della vita diverse, eredi o vittime di colonialismi e degli impositori di democrazia, persone di grande intelligenza ed umanità.
No, non sono migranti da accogliere o da respingere, sono due mondi che si scontrano o si incontrano, proprio come le placche tettoniche, un “redde rationem” in ritardo, secondo preveggenti analisti del passato (ora è troppo facile).
Una migrazione di popoli inarrestabile che potrebbe assumere presto aspetti epocali, così continuando. Forse anche giusta, considerando che, per secoli, noi civili occidentali abbiamo pensato solo a sfruttare terre e persone, selezionando potentati del petrolio quali fedeli alleati indipendentemente da tutto, spesso privando popolazioni intere non solo delle loro risorse ma anche della loro dignità, non consentendo né accompagnando alcuna crescita, assistendo passivamente alla concentrazione di enormi ricchezze naturali che mai sono diventate ricchezze di popoli.
E ora? Ora pretendiamo di risolvere il tutto con un rusticano, e ridicolo, duello tra favorevoli e contrari? tra struzzi e nuovi guerrafondai interventisti ? Ora che sono solo poche decine di migliaia? E quando saranno centinaia di migliaia, o milioni, così continuando ?
Si continua a litigare sulle quote di assegnazione internazionale, come se, invece che persone, si trattasse di prodotti, magari deperibili, da sottoporre alle regole del commercio internazionale, senza rendersi conto della assoluta necessità di un vero e proprio progetto che prenda in esame non solo l’accoglienza, ma anche il lavoro, la casa, l’assistenza, pena il rischio, in caso contrario, di tramutare queste persone in disperati, da sfruttare o da lasciare che possano diventare fin troppo facile manovalanza per organizzazioni criminali. Ecco, il vero pericolo che si continui a gestire l’accoglienza, solo l’accoglienza in emergenza, e ci si fermi li.
E’ necessario che tali progetti siano sviluppati, finalmente, senza la velleità di esportare improbabili modelli sociali o “democratici” o comportamentali occidentali, proprio nei paesi di origine.
Ma, ancora di più, urla la necessità che, con la dovuta umiltà e senso etico, ma anche con cinica efficacia, non si parli più di solidarietà, ma di solidalità, rendendoci finalmente conto, tutti, che, mai come in questo momento, in questo mondo, siamo tutti, ma veramente tutti, sulla stessa barca, per di più con qualche infiltrazione, qua e là.
Ah, già, non ho parlato di Europa.
Paolo Di Pirro