Il convegno organizzato dal giornale il Tirreno con la Fondazione Isola d'Elba Onlus, mi ha suggerito di rivolgere, a quelli che ritengono che le fusioni siano la terapia più adatta per migliorare le condizioni di vita della nostra comunità (e non magari quella di affrontare le disuguaglianze strutturali presenti nelle isole cui dare riposte), qualche semplice riflessione.
Ai cittadini dei tre comuni di Campo nell'Elba, Marciana e Marciana Marina (cui si sono aggiunte, nelle ultime ore, le ipotesi possibiliste dei sindaci di Rio nell'Elba e di Rio Marina), prima dell'eventuale fusione dei loro paesi, vanno offerti spunti per evitare loro un torto ed evitare ad Anna Bulgaresi, Andrea Ciumei e Lorenzo Lambardi di essere ricordati, dalla loro popolazione e da quella futura, come coloro che hanno messo la parola fine ai propri comuni.
Questo preannunciato tentativo di fusione tra i comuni del versante occidentale, tra l'altro in un periodo in cui si è fatto più profondo il solco tracciato dalla cosiddetta antipolitica verso i partiti, i governi, i parlamenti, le regioni, mette così, i tre comuni, che i cittadini sentono l'istituzione più vicina a loro, a rischio chiusura.
Tuttavia ho colto, nella timidezza di quella proposta, anche ieri al convegno rimasta tale, più che una scelta ispirata da convinti benefici che le fusioni farebbero scattare una, seppur incauta, volontà di attrezzarsi prima, nel caso le fusioni venissero imposte.
Condivise o imposte, però, le fusioni generano, comunque, elementi di sofferenze comuni. Si perde il profilo di quella fetta di territorio, l'identità di oggi e quella futura di quel paese e nessuna nuova anagrafe comunale e nuovo gonfalone potranno risarcire quello strappo.
I percorsi per le gestioni associate e l'unione dei comuni sono l'altra strada che metterebbe in sicurezza l'autonomia del singolo comune e una più adatta e rinnovata strategia di rapporti istituzionali per scelte più adatte alla geografia di un'isola minore.
Non vi fate abbagliare dalla immediata, ma non certa, sicurezza futura, con cui si sbandierano i contributi dello Stato, considerato il deficit pubblico ancora significativo del nostro Paese, del quale è bene non dimenticare.
Bisogna, invece, eventualmente prevenire uno Stato che pensa, per ridurre la spesa pubblica, di arrivare addirittura anche alle forzate fusioni dei comuni, come se non fossero bastati i tagli di risorse e di personale degli ultimi anni, che hanno visto pagare prima e di più i piccoli comuni. Ora si vogliono anche cancellare. Bisogna dire di no!
I piccoli comuni non possono essere considerati i soggetti facili da penalizzare quando si pensa alla revisione della spesa del Paese. Si lavori per recuperare le risorse per lo Stato con più efficacia attraverso l'evasione fiscale, il recupero dell'IVA e la tassazione sui grandi patrimoni, purtroppo terreni insidiosi.
Le fusioni non sono la modernità ma la resa, perché non si è riusciti a salvaguardare e a rafforzare il profilo di autonomia e il compito costituzionale dei piccoli comuni, che pesano sulla spesa pubblica con numeri insignificanti.
Bene hanno fatto molti sindaci a farsi sentire, a cominciare dalla manifestazione di Volterra.
C'è una bizzarria, una contraddizione: venti parlamentari PD fanno una proposta di fusione obbligatoria per i comuni sotto i cinquemila abitanti, mentre ci sono ancora in essere misure che riguardano il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti (Realacci), la proposta (Barca) di fondi fino al 2020 a sostegno delle piccole realtà e fondi già stanziati relativi al “Decreto Del Fare” per opere infrastrutturali riguardante il Programma 6.000 Campanili.
Ma, a prescindere da questo, credo che si debba concepire l' intera comunità di un comune, come una sommatoria di interessi da rilanciare e non da avversare, per ridurla ad area periferica.
Il futuro dei nostri comuni sta nello scardinare un modello di Stato che sostiene, nella miglior delle ipotesi : “ se vi fondete vi premio con risorse aggiuntive” che, guarda caso, sono lo stesso pubbliche. Prima si riduce i trasferimenti poi si offre un premio.
Sarebbe opportuno, almeno dal punto di vista sia istituzionale che politico (il ddl Lodolini “invita” a ciò), che i sette comuni dell'Elba con meno di cinquemila abitanti deliberassero nei rispettivi consigli comunali, con un ordine del giorno, una posizione contraria a quel testo. E' pensabile che, se dovesse passare quel disegno, in un colpo solo scomparirebbero in Italia più di 5.600 comuni? Il 70% delle amministrazioni comunali.
Sono più che fiducioso che quel tentativo di stravolgimento comunale non passerà, per l'opposizione che i sindaci, con i loro cittadini, faranno e considerato che non è ancora un'azione di governo ma una semplice proposta.
Tuttavia, l'aspetto della fusione obbligatoria è già stato opportunamente mitigato dalla Regione Toscana con la risoluzione del 30 marzo. Ha bisogno di chiarimenti, comunque, l'espressione usata in aula al momento della illustrazione della stessa risoluzione: ... qualche disincentivo alla frammentazione … .
L'azione politica da intraprendere è di intervenire sul corto circuito tra il decentramento delle norme, al quale i comuni devono rispondere, e dall'altra uno Stato che centralizza l'intero sistema amministrativo. O no ?
Giovanni Frangioni