Nel corso dell’estate il riacutizzarsi della situazione ambientale dagli incendi, all’ILVA alla ripresa delle frane ha riproposto l’irrisolto problema del governo del territorio che fa acqua ormai e non solo metaforicamente da tutte le parti. Disperse senza lasciare tracce degne di nota la pianificazione e la programmazione si è tornati a discutere del titolo V che da un decennio avrebbe dovuto con forti dosi di federalismo tanto strombazzato dalla lega assicurare finalmente una gestione integrata del territorio in cui stato, regioni ed enti locali
potessero finalmente operare in ‘leale collaborazione’. Per alcuni quella scelta costituzionale è stata ‘infausta’ perché è lo stato che è stato messo in un canto per lasciare campo libero a sindaci e regioni. Per altri solo ‘incompiuta’ e frettolosa e piena di buchi perché per il paesaggio come per altri ambiti le competenze non risultano chiaramente ripartite così da accrescere solo la conflittualità costituzionale.
I tagli hanno a loro volta fatto calare la tela sul tutto inducendo specie gli enti locali ma anche le regioni a politiche di piccolo cabotaggio e di sopravvivenza che hanno fatto venir meno una risposta incentrata su proposte e intese in grado di avviare una nuova politica nazionale.
Delle baldanzose pagliacciate federaliste con tanto di polentate romane con la Polverini restano oggi le macerie e un crescente discredito istituzionale. Così dopo un po’ di allenamento con le Comunità montane levate di torno alla svelta, si è messo mano alle province sulla base dei chilometri quadrati e dei residenti perché di altro non si è parlato e non si parla in barba alla Costituzione, mentre i piccoli comuni sotto i 5000 abitanti sono stati messi il lista d’attesa e non da chi per legge dovrebbe farlo per essere a loro volta messi in castigo. Ora è arrivato sull’onda fangosa romana il turno delle regioni che salgono sulla scena all’insegna poco onorevole di porcate che fanno impallidire anche il porcellum.
Che tenga banco nelle cronache la spesa della politica che dal parlamento si allarga ora alle regioni è comprensibile e inevitabile ma questo non deve far velo su quel che ci sta dietro e che riguarda il ruolo delle regioni di cui come scrive Massimo Luciani sull’Unità va ‘ripensato’ perché come scrive Oriano Giovanelli sempre sul quotidiano del Pd il virus attacca anche le regioni per cui esse -aggiunge Vittorio Emiliani sullo stesso giornale. il loro ruolo va ‘ricostruito’. Che l’approdo complessivo dopo le speranze e le illusioni di un assetto statale finalmente in grado di gestire su un piano di pari dignità costituzionale tra tutti i livelli istituzionali il paese registri oggi un riaccentramento statale che non ha uguali e precedenti la dice lunga su quanto è successo dal 2001 con il nuovo titolo V. A me torna in mente che nel 1985 la Commissione bicamerale per le questioni regionali fece una indagine parlamentare sulle regioni speciali che si concluse con la constatazione che in troppi casi vi erano competenze e ‘privilegi’ che andavano riequilibrati con quelli delle regioni ordinarie. Si veda come stanno le cose oggi ed è facile capire che quella indagine non ebbe alcun seguito, Sicilia docet!
Ma anche per i comuni con l’elezione diretta dei sindaci e la scelta degli assessori i consigli comunali come ricordò anche Giorgio Napolitano non molto tempo fa ad un congresso dell’ANCI hanno visto decadere on poco il loro ruolo. Delle province si è detto. Il nuovo assetto istituzionale con una iniezione di federalismo avrebbe dovuto accrescere il ruolo nazionale e regionale nelle politiche legislative e normative di programmazione a arricchire anche sulla base di nuove deleghe regionali agli enti locali nella loro funzione autonomistica. Come si è visto anche in questi giorni le leggi regionali sono andate via calando mentre è andato di contro accentuandosi il centralismo regionale; è lo stesso virus di cui da sempre soffre lo stato che si evidentemente diffuso anche a quei livelli che avrebbero dovuto esserne immuni ma non lo sono stati. Si veda –tanto per fare un esempio- come in ambito ambientale uno dei più malmessi negli ultimi tempo si susseguano interventi regionali che accentrano ruoli e uffici che riportano alla casa madre quello che dipendeva ad esempio dai parchi e dalle aree protette. E nessuna regione –ripeto nessuna – è indenne. Se penso che in Toscana si sta tornando alla carica –in questo momento!-per gestire da Firenze come aziende agricole territori all’interno di storici parchi regionali come San Rossore, dopo aver cancellato anche qualsiasi indennità ai presidenti quasi si trattasse di piccoli Fiorito, mi chiedo se si è capito cosa sta succedendo ed è già successo.
Non è molto consolante aggiungere che nei recenti incontri di San Rossore questi problemi sono stati al centro di una seria riflessione critica ma almeno c’è da sperare contribuisca a cambiare marcia e percorso.
Renzo Moschini