Dopo il voto in oltre 1200 comuni incluse alcune grandi città sarà difficile dire se e in che misura la campagna elettorale ha contribuito a fare emergere con chiarezza che quello del ruolo degli enti locali è tornato ad essere uno dei problemi tutt’altro che risolti del nostro assetto istituzionale. E questo in rapporto anche al referendum autunnale. Mi riferisco naturalmente al chiaccheratissimo Titolo V e in particolare alla abrogazione costituzionale delle Province che comporta l’affidamento delle loro competenze vuoi ai comuni ma anche alla fantomatica ‘area vasta’ di cui finora nessuno è riuscito a dire cosa dovrà essere se non un organo non elettivo. Insomma Regioni e Comuni dovranno vedersela tenendo conto ovviamente che le stesse regioni non speciali non escono dal nuovo Titolo V al meglio visto il rafforzato ruolo centralistico dello Stato e non solo sulle competenze specificamente statali perché lo stato a sua discrezione può intervenire anche su quelle regionali. La tanto e giustamente criticata conflittualità costituzionale sarà ridimensionata ma soprattutto nel senso che la ‘regia’ sarà affidata esclusivamente allo Stato.
D’altronde se c’era bisogno di una conferma che le cose così non possono funzionare basta vedere il bilancio tratto da Il Sole-24 Ora sulle leggi regionali finora approvate sulla gestione delle competenze delle Province dove è difficile trovarne due che hanno fatto le stesse cose.
Veniamo perciò al dunque; il ruolo degli enti locali a partire dai piccoli comuni va rivisto nel senso che è impensabile un raccordo diretto comune- regione senza un livello intermedio che si chiami ‘area vasta’ o topolino. In questo contesto si è tornati a discutere anche in Parlamento del destino e ruolo dei piccoli comuni. Discussione in cui al tempo di Massimo Saverio Giannini si ipotizzò il passaggio dagli 8000 ai 1000 comuni ma tutto finì lì. Non mancarono regioni come la Toscana che sperimentarono le Associazioni intercomunali per contrastare il campanilismo imperante ma non ebbero fortuna anche perché qualcuno si era illuso che in tempi rapidi i comuni -neppure sempre piccoli- si sarebbero felicemente fusi.
Anche in Toscana si è tornati recentemente a discuterne all’insegna però di forzature di stampo questa volta azieandalistico piuttosto che istituzionale. La solfa insomma che vanno tagliate poltrone etc etc che ritroviamo indisponente nella propaganda per il SI al Referendum. La questione vera naturalmente è un’altra e cioè come l’ente locale e cioè il comune l’istituzione più vicina ai cittadini e in cui le comunità locali hanno oggi maggiore fiducia può svolgere le sue funzioni e il suo ruolo più che di efficacia aziendale di efficenza ed efficacia istituzionale nel governo del territorio.
Recentemente il Servizio studi della Camera dei Deputati ha pubblicato un volume; Enti locali: ordinamento e funzioni’. E’ un importante e documentato contributo ad una dibattito che finora ha riguardato una cerchia ristretta di addetti ai lavori.
Ecco da qui viene valida e convincete conferma che la partita referendaria non può essere considerata in alcun modo -come si è detto- una ‘partita chiusa’. Quella del ruolo degli enti locali è e resta una partita aperta e non soltanto in Parlamento. Lo abbiamo visto anche recentemente in un incontro pubblico a Pisa in Palazzo Blu promosso dall’On Paolo Fontanelli dove si è discusso del volume della Camera. Ora che le urne sono chiuse i problemi restano.
Renzo Moschini