La lotta per la difesa del nostro ospedale è una battaglia di civiltà a cui tutti devono partecipare, se appena sono nella possibilità di farlo, o con la propria presenza fisica o inviando il loro pensiero, l’espressione della propria solidarietà e determinazione, alla stampa locale e nazionale.
Non siamo uno scoglio, siamo la terza isola italiana, superiamo i trentamila abitanti e d’estate i duecentomila; dunque abbiamo bisogno di un presidio ospedaliero funzionante ed efficiente.
L’applicazione di tagli lineari alla sanità in una realtà insulare ha effetti devastanti che non possiamo permettere, perché la qualità della vita ne risulta insopportabilmente peggiorata. Purtroppo non bastano le bellezze della nostra terra a farci star bene, occorrono servizi decenti e questi da anni ormai stanno subendo all’Isola d’Elba un pericoloso deterioramento, superiore a quello del resto della provincia: la scuola è penalizzata dal pendolarismo, dal turnover, dalla dispersione, da una bassa percentuale di iscrizioni all’università; i trasporti marittimi spesso non tengono conto delle coincidenze di treni e pullman e risultano troppo cari per i non residenti; l’assistenza sanitaria, così come la conoscevamo, sta evaporando. Siamo coscienti che vivere su un’isola comporta oggettivamente dei disagi, ma questi non devono oltrepassare un certo segno, altrimenti si trasformano in un calvario: non possiamo partire per il continente per patologie di media o lieve entità né per un parto fisiologico gemellare; non possiamo affrontare il mare di qualsiasi condizione per visite o esami che fino a poco tempo fa si eseguivano qui; non possiamo avere per mesi l’ascensore del piano stradale guasto né tollerare che non ci sia acqua calda in tutti i reparti (così fino a giugno, almeno in uno); non possiamo confidare in un elicottero perennemente in volo per salvare le nostre vite altrove, perché i voli hanno costi proibitivi, e saranno destinati solo alle emergenze. Già sono state soppresse le guardie mediche e fare le analisi di routine comporta file di ore (adesso anche per le prenotazioni) e la chirurgia stessa è in pericolo. Che dobbiamo aspettare ancora per manifestare concretamente la nostra ferma volontà di salvare l’unico presidio ospedaliero che possediamo?
Per farlo occorre davvero impegnarci tutti: cittadini, forze politiche, sindacali, sociali e culturali.
Per la salute nostra e dei nostri figli, anzitutto, ma anche per salvaguardare il turismo, l’unica fonte economica che possediamo, la quale potrebbe risentire negativamente della mancanza sul territorio di un sistema sanitario efficiente che possa garantire vacanze tranquille e sicure ai nostri ospiti.
Non ci facciamo assalire dalla pigrizia, dal menefreghismo, dal fatalismo, dalla rassegnazione, dalla tendenza a delegare: i comitati hanno lavorato tantissimo in questi ultimi due anni e senza di loro probabilmente la situazione sarebbe ancora più drammatica, ma non possono stare sempre sulle barricate. Adesso – se non ora, quando?- tocca a noi. Dopo sarà troppo tardi.
Maria Gisella Catuogno