Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione!
Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani,
voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati,
morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa,
morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze,
che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta,
questo è un testamento, un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo
dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani,
nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati.
Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità,
andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.
Piero Calamandrei
Facciamo un gioco. Mettiamo che la riforma costituzionale Renzi-Boschi sia entrata in vigore oggi. Nel giro di diversi mesi ci troveremmo con un governo dai poteri enormi, con una sola camera al totale servizio del premier; con l'altra camera, ridotta a un ritrovo di dopolavoro da fine settimana, con consiglieri regionali e sindaci, probabilmente molti dei quali inquisiti (sotto lo scudo dell'immunità), e quindi fortemente ricattabili dal governo per le loro pendenze giudiziarie, e quindi succubi di esso; con controbilanciamenti debolissimi, poiché il governo potrà decidere in pratica direttamente chi sarà il presidente della repubblica, e da chi sarà formata in gran parte la corte costituzionale; senza potere di opposizione da parte degli enti locali per tutte quelle opere che verranno classificate strategiche per il paese (tipo tav, ponte sullo stretto, trivelle, ecc.), ovvero, guarda caso, quelle che muovono gli interessi di grossi gruppi e criminalità organizzata. Nel giro di diversi mesi, ripetiamo. Perché se tutto ciò avvenisse nel giro di una settimana, si potrebbe parlare tecnicamente di colpo di stato.
Terrorismo referendario? Se pensate questo allora fermatevi qui. Chiudete questa pagina, passate ad altro, e fatemi il santo piacere di non leggere oltre.
Se invece siete delle pazienti e attente marmotte, buon divertimento.
LA FUNZIONE LEGISLATIVA
Il bicameralismo perfetto è il sistema più democratico che esista, con due camere i cui pesi identici si controbilanciano a vicenda: ovvero una sorta di potere che controlla se stesso. Furono pensate con le stesse funzioni in modo che se l'una avesse abusato del suo potere, l'altra avrebbe potuto intervenire per correggerla. Questo lo avevano mirabilmente capito i padri costituenti, e lo vogliono sfasciare i padri ricostituenti, con critiche da costituzionalisti della domenica.
Creando una sola camera legislativa si dà sostanzialmente carta bianca a tutto quello che un bivacco di manipoli si pone in mente di fare. Per indorare la pillola ci spacciano così la bubbola che ciò rende più veloce l'iter delle leggi. Ma una legge approvata in tempi brevi non è sinonimo di buona legge: la legge Fornero fu approvata in tempo record (dall'approvazione in consiglio dei ministri alla promulgazione ci vollero 16 giorni), ma fu talmente frettolosa e abborracciata che nessuno si rese conto che stava creando il dramma degli esodati.
Una capolavoro della riforma è l'articolo 70: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. E ovviamente il capolavoro sta nel testo del 1948: chiaro, semplice, cristallino. Perché il nuovo articolo 70 è un'oscenità di 432 parole a cui manca solo il finale “supercazzola con scappellamento al centro” per farlo diventare una perfetta battuta del conte Mascetti. Non lo riporto per intero perché mi è venuto il mal di testa al solo fare copia/incolla.
Ma gli effetti che produce vanno visti, perché sono essenziali per capire come sarà l'Italia se passasse la riforma. Essendo questa la riforma della semplificazione, l'articolo 70 porta a cinque i principali modi per approvare una legge, poiché gli attuali due (leggi costituzionali con doppio passaggio da entrambe le camere, leggi normali con passaggio da entrambe le camere) sono chiaramente frutto di logiche contorte. Vediamo invece il fior fiore di queste mirabolanti, semplici e snelle procedure:
1) leggi costituzionali: il normale sistema attualmente in vigore, con l'approvazione in doppio passaggio dalle due camere.
2) leggi bicamerali: il normale sistema attualmente in vigore delle leggi normali, con l'approvazione delle due camere; si differenzia dal presente solo perché riguarda 16 materie, dalla legislazione legata ai territori fino a quella di legislazione l'unione europea (articolo 70, comma 1).
3) leggi approvate dalla sola camera, con possibile esame del senato entro dieci giorni; riguardano tutte le materie restanti; la richiesta di esame deve essere presentata da almeno un terzo dei senatori (articolo 70, commi 2 e 3).
4) leggi approvate dalla sola camera, con obbligo di esame del senato entro dieci giorni; quando la camera vota su materie di competenza regionale, stabilite dall'articolo 117 (articolo 70, comma 4).
5) leggi approvate dalla sola camera, con obbligo di esame del senato entro quindici giorni; sostanzialmente riguarda le sole leggi di bilancio e di stabilità (articolo 70, comma 5, e articolo 81, comma 4).
Ma non è finita qui. Abbiamo poi le conversioni dei decreti legge, con eventuale esame del senato (articolo 77, commi 2 e 3); il procedimento speciale della camera per una legge elettorale, con possibilità di controllo preventivo della corte costituzionale (articolo 73, comma 2); i disegni di legge stilati e approvati con maggioranza assoluta del senato, che devono passare alla camera per l'approvazione entro 6 mesi (articolo 71).
Una disposizione inquietante è nel nuovo articolo 72, comma 7: “[...] il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l'attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni”. Quindi, tutte le volte che vuole, il governo può urlare: “Fermi tutti! Questa legge è essenziale per me!”, e la camera si mette servilmente ai suoi desiderata. La nota sinistra sta nel fatto che per un procedimento del genere la camera dispone di poteri limitatissimi di modifica, per non parlare del senato. Un premier che ha un'aspirazione assolutista potrà usare questo escamotage per far passare qualunque porcata o interesse personale o di conventicola, visto che gli unici limiti sono per leggi di materia elettorale, di ratifica ai trattati internazionali, amnistia e indulto, e di bilancio. Argomenti che non toccano interessi personali e di partito. E tanti saluti alla democrazia.
Peraltro anche se questo strumento fosse usato con tutte le migliori intenzioni del mondo, non starebbe comunque né in cielo né in terra: si tratta chiaramente di un'invasione di campo del potere esecutivo in quello legislativo. E tanti saluti pure a Montesquieu.
Insomma i metodi legislativi possono arrivare addirittura a dieci. Ma sempre in nome della semplificazione, buon'anima. La balla sesquipedale che ci viene propalata è che il parlamento approverà più leggi con un iter semplificato. La verità è che lo scenario del postriforma è di un meccanismo più farraginoso per quasi tutte le leggi: 1) passaggio e approvazione alla camera; 2) esame del senato; 3) se questo fa osservazioni sulla legge e proposte di modifica, allora 4) la legge ritorna alla camera che la deve approvare in maniera definitiva. Ovvero rischio di ben tre passaggi, anziché gli attuali due, per un numero significativo di ddl, con la possibilità che alcuni non raggiungeranno mai l'approvazione definitiva o almeno in tempi brevi.
IL SENATO
Preparate i sali, perché per questo capitolo rischiate lo svenimento, tanto è demenziale la riforma. Il nuovo senato, non più elettivo, è composto da 95 membri scelti dalle regioni e 5 dal presidente della repubblica (articolo 57, comma 1). Questi ultimi non sono più a vita, ma durano sette anni, esattamente come colui che li sceglie (articolo 59, comma 2). Tra l'altro si potrebbero muovere due dubbi: che ci fanno 5 personalità di livello nazionale in un parlamento di tipo “federale”? Perché 5 su 100, e quindi potenzialmente decisivi per gli equilibri? Misteri.
E adesso arriva il bello. Il senato come istituzione non si rinnova mai: i senatori rappresentanti di regioni e comuni scadono alla fine del loro mandato amministrativo (articolo 57, comma 5). Una cosa talmente inaudita, che potrebbe creare maggioranze diverse tra le due camere, e, come abbiamo visto per i metodi legislativi, di caos sul rimpallo tra i due rami del parlamento. Ma ovviamente con la semplificazione nel cuore.
I 95 senatori “locali” sono composti da 73 di nomina regionale e 22 sindaci. Di 22 comuni su circa 8000, che non si capisce perché dovrebbero distrarre il loro tempo al già impegnativo compito amministrativo, e soprattutto li porrebbe in condizione di privilegio rispetto a tutti gli altri. D'altra parte ve lo immaginate il sindaco-senatore di Capoliveri (ragionando per assurdo, è ovvio. Dio ce ne scampi e liberi di una simile ipotesi!) che mette gli interessi di Marciana Marina sopra a quelli del suo comune, sfruttando la posizione di favore di fronte al potere centrale?
Ragionamento per assurdo, quello della scelta del sindaco di Capoliveri, ma fino a un certo punto. Perché non è chiaro se la scelta di un sindaco avverrà per elezione o nomina. Quindi non si può escludere che un ben ammanicato capataz (magari con qualche pendenza giudiziaria; perché è da ricordare che per i senatori varrà l'immunità) di un comunello di 100 abitanti possa aspirare al seggio di senatore. Ehi Barbetti, sei ancora sicuro del tuo no?
Ci viene detto che i senatori porteranno le istanze regionali a livello statale (articolo 55, comma 4). Calma, qui ci sfugge qualcosa: i senatori sono scelti dalle regioni con un non ben chiaro “metodo proporzionale” (articolo 57, comma 2). Questo significa che non rappresenteranno l'istituzione regionale, ma i rapporti di forze politici all'interno dei consigli regionali (la Toscana adesso esprimerebbe quindi senatori Pd, il Veneto di area Lega-Forza Italia, e così via). E se venissero scelti democraticamente anche tra le opposizioni, come potrebbero questi ultimi rappresentare le istanze di una giunta di colore diverso? Ambiguità pura.
A complicare le cose c'è l'articolo 67, quello che stabilisce l'assenza di vincolo di mandato per i parlamentari. Ma se rappresentano le istanze di una regione, è già questo un vincolo di mandato. O faranno di testa loro? E allora non si capisce perché un'istituzione dovrebbe sceglierli per farsi rappresentare. Ambiguità al quadrato.
È inutile girarci intorno: anche il senato postriforma ha funzioni statali e non regionali. Togliergli l'elettività è quindi devastante: in questo modo si lede addirittura un principio fondamentale, il comma 2 dell'articolo 1: “La sovranità appartiene al popolo”.
Inaccettabile è il nuovo articolo 82: “La Camera dei deputati può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. Il Senato della Repubblica può disporre inchieste su materie di pubblico interesse concernenti le autonomie territoriali”. Fondamentalmente il senato non deve fare cose da grandi, quelle spettano alla camera. Questa norma contraddice il diritto parlamentare non solo italiano, poiché ogni strumento di inchiesta di due camere diverse assicura una pluralità ampia, e quindi più ampie garanzie. Ma chi ha scritto la riforma in perfetto italiano potrebbe obiettare in altrettanto perfetto inglese “Itaglyans du better”.
Ma la cosa sublime è l'articolo 57, comma 6: “Con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione della carica elettiva.” In pratica: dal momento che passa la riforma, il nuovo senato viene formato da membri scelti con metodi imperscrutabili (come abbiamo visto); solo in seguito, se e quando il parlamento ne avrà voglia, saranno chiariti tutti i misteri su come saranno scelti i senatori, ovvero con una successiva legge costituzionale. Non da questa! Votiamo solo per una forma provvisoria! La Costituzione come un meccano da assemblare pezzo a pezzo. Qui non siamo allo stato confusionale, siamo al reparto psichiatria.
CONTROBILANCIAMENTI
Con la riforma ci saranno controbilanciamenti all'esecutivo, ma sicuramente meno incisivi e fortemente dipendenti da esso. Partiamo dal più importante: il presidente della repubblica.
La scelta del capo dello stato con l'attuale sistema pretende una convergenza se non quasi assoluta (a parte nei primi due scrutini) almeno molto ampia dell'arco parlamentare. Con il nuovo parlamento il presidente della repubblica potrà essere scelto dalla sola maggioranza, se non addirittura dal solo partito di maggioranza relativa, e quindi dal premier, cioè il futuro peso da controbilanciare. Facciamo due conti: il nuovo parlamento, riunito in seduta comune per l'elezione presidenziale, sarà composto da circa 730 membri (630 deputati e 100 senatori, più gli ex presidenti della repubblica). Secondo la riforma Renzi-Boschi (articolo 83, comma 3) ai primi 4 scrutini serve la maggioranza di 2/3 assoluti (485 voti), dal quarto al sesto i 3/5 assoluti (435 voti), dal settimo in poi i 3/5 dei votanti. Ovvero potrebbero bastare 220 voti per eleggere il primo cittadino d'Italia. Addirittura Salvatore Settis prospetta che l'elezione potrebbe giocarsi sullo scarto di appena 15 parlamentari.
Quindi il senato diventa ininfluente, e un partito che non arriva neanche al 30% in elezioni in cui vota appena la metà degli italiani decide chi va al Quirinale. Uau. Si sovverte totalmente il principio che è il presidente delle repubblica a dare mandato al premier, avvenendo di fatto il contrario. Olè. Ma soprattutto un premier decide chi non gli darà fastidio nell'adempimento dei suoi folleggiamenti governativi. E, udite udite, gli sottrarrà di fatto il potere di scioglimento della sola camera rimasta. Yuhuuu.
Da notare anche che la scelta di un terzo dei membri del CSM, spettante alle camere in seduta comune, mostra uno squilibrio numerico: è ovvio che i 100 senatori avranno un peso irrilevante di fronte ai 630 deputati.
Altra seccatura per un premier con aspirazioni assolutiste: la corte costituzionale. Cioè l'istituzione che più di ogni altra dovrebbe essere autonoma in una democrazia che funziona. La corte è formata da 15 membri. L'articolo 135, comma 1 stabilisce la nomina: 5 scelti dal presidente della repubblica, 5 dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative, 3 dalla camera e 2 dal senato (in sostituzione dei 5 scelti dalle camere in seduta comune dell'attuale Carta). Quindi, i primi cinque sono scelti dall'uomo che sta lì grazie al premier, i 3 della camera dal partito del premier, e se la buona stella lo aiuta anche i 2 del senato potrebbero essere non ostili al premier. Nella migliore delle ipotesi 8 su 15 sono vicini al governo, nella più paradisiaca ben 10 su 15. E chissà che nel momento di giudicare l'incostituzionalità di una legge voluta dal premier non si cantino dentro di sé “perché è un bravo ragazzo, perché è un bravo ragazzo, nessuno lo può negaaaar...”
I RAPPORTI STATO/REGIONI
La riforma Renzi-Boschi cerca, soprattutto con la revisione dell'articolo 117, di sanare il pasticcio dell'improvvida riforma del Titolo V del 2001. Ovvero quella che creò un perenne conflitto di attribuzioni tra stato e regioni. Con l'attuale tentativo si cerca di spostare le competenze più importanti di nuovo allo stato. In questo caso riportare materie (come la sanità) in ambito centrale, togliendole a regioni che spesso le mettono in mano a grossi gruppi clientelari e affaristici, se non alla criminalità organizzata, di per sé non è negativo. Ma sono obiettivamente troppe le materie tornate sotto l'ombrello del governo (circa una cinquantina), e la riscrittura è talmente confusa, parziale e pasticciata, anche e soprattutto dal punto di vista grammaticale, che potrebbe vanificare anche le buone intenzioni. Sarebbe stato importante lasciare alle regioni competenze chiare e non negoziabili su alcuni temi, come le politiche sociali, la tutela della salute, il governo del territorio e dell'ambiente, che invece la riforma riporta in ambito centrale. Alla fin della fiera addirittura potrebbe non giungere a nessuna soluzione di alcune delle storture sui conflitti di attribuzioni della precedente riforma.
Anche la specifica che non potranno “essere corrisposti rimborsi o analoghi trasferimenti monetari” è di per sé positiva. Ma è una delle rarissime cose buone, insieme all'abolizione del Cnel, di una riforma demenziale.
Niente di buono invece ci aspetta dal comma 4 dell'articolo 117, dove si stabilisce la clausola di supremazia statale. Ovvero sia, dove il governo lo ritenga necessario può avocare a sé anche competenze di natura regionale se ricadenti sotto la dicitura di interesse nazionale. Quindi se il governo avrà la necessità di fare un'opera faraonica (e in realtà sarà un gruppo industriale o una lobby ad averne necessità per motivi di profitto, e userà come tramite il governo), se ne infischierà dell'autonomia regionale.
È vero che a questo tipo di leggi e decreti (che sono state definite “vampiro”) teoricamente potrebbe opporsi il senato, ma praticamente la camera può snobbare il niet, anche fosse espresso dalla maggioranza assoluta dell'altro ramo (articolo 70, comma 4). E per avere un'idea dello stato confusionale del legislatore basti pensare che una legge vampiro deve passare entro 10 giorni al vaglio del senato, e un decreto vampiro, che dovrebbe essere un provvedimento di urgenza, entro 60 giorni!
LA DEMOCRAZIA PARTECIPATA
Una delle più grosse balle della riforma è quella che aumentano gli strumenti di partecipazione dei cittadini. Vediamo queste propagandate mirabilie.
Ci viene detto che la riforma Renzi-Boschi introduce, oltre al referendum abrogativo tutt'ora esistente, i referendum propositivi e di indirizzo (articolo 71, comma 4). Introduce, ma non concretizza. Il testo recita infatti: “Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione”. Cioè finché il parlamento non decreterà sui due strumenti (e potrebbe non farlo mai) con un ulteriore legge costituzionale parleremo di un par de ciufoli. Sembra di stare alle giostre: altro giro, altra palla. Il referendum propositivo, peraltro non è chiaro cosa sia: possibilità dei cittadini di mettere in vigore una legge? Sul referendum d'indirizzo poi siamo al mistero della sfinge. Tecnicamente cos'è? Indirizzo de che? Tutto fumo negli occhi.
Altra genialata: l'articolo 75, comma 4. Vi consiglio di leggerlo: lo stile è quello della lettera di Totò e Peppino. Attualmente il comma 1 stabilisce che ci vogliono 500mila firme per presentare un referendum. Ciò rimane, ma tre commi sotto si stabilisce che raggiungendo le 800mila firme, per il referendum non vale più il quorum della maggioranza degli aventi diritto di voto, bensì quello della “maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati”. Ora, a parte che non si capisce perché 300mila firme in più o in meno dovrebbero fare questa enorme differenza, qui siamo al gioco delle tre carte bello e buono. Infatti quasi mai la raccolta delle firme per un referendum ha toccato la stratosferica cifra di 800mila. Stratosferica sì, a dispetto di chi dice che adesso che siamo 60 milioni è più facile trovare firme di quando eravamo un terzo meno, ai tempi della Costituente. Ma tempi in cui c'erano partiti di massa organizzati, capaci di mobilitare milioni di iscritti, non movimenti di melassa o armate brancaleone dei nostri giorni.
E tanto per allargare la partecipazione popolare si sfodera la coerenza: per essere presentate leggi di iniziativa popolare non serviranno più 50mila firme, ma 150mila (articolo 71, comma 3). Che verranno bellamente snobbate, temo, poiché dovranno essere normate da futuri regolamenti parlamentari. Sapete quante leggi di iniziativa popolare sono state approvate nella storia repubblicana? Zero. E avevamo un parlamento rappresentativo del popolo. Figuratevi con una sola camera ai servigi del governo...
LEPIDEZZE VARIE
Fateci caso: tutti i propugnatori del sì parlano per slogan. È bello dire che si aumenta la partecipazione con i referendum propositivi e di indirizzo, quando non si entra nel merito delle questioni e ci si affida solo alle forme: fa chic riempirsi la bocca con l'espressione “referendum di indirizzo” quando non si sa che vuol dire. Inoltre mai che vi citino gli articoli e i commi in ballo. Perché non li hanno mai letti. E soprattutto perché sperano che non li leggiate voi. 'Un avesse a capì che 'un dicano nulla, per dirla all'elbana.
Altro fior da fiore di questi costituzionalisti d'accatto.
Se non passa questa riforma, bisognerà aspettare decenni per averne un'altra. Che, aggiungerei, sarebbe già una luminosa prospettiva che per un bel pezzo nessuno metterà mano sulla Carta per operare un'altra porcata. Ma purtroppo è una falsità. Negli ultimi 15 anni questo è il terzo tentativo di cambiare la costituzione. 2001: riforma del Titolo V, passata. 2006, riforma Berlusconi-Bossi in senso federale e presidenziale, bocciata dal referendum. E adesso questa, senza dimenticare la modifica dell'articolo 81 (pareggio di bilancio), operata dal governo Monti. Sarebbe piuttosto il caso che qualsivoglia preteso statista (e autentico magliaro) che va a Palazzo Chigi lasciasse da parte la fissa di una sua personale riforma costituzionale quale un bisogno impellente per il paese.
Ci sono incongruenze ma si possono aggiustare in seguito. Eh no, signori. La Costituzione è la legge fondamentale dello stato proprio per la sua definitività e rigidezza: questo la rende superiore a tutte. O così è, o niente.
Con questa riforma si riducono i costi della politica. Sì, di circa 50 milioni l'anno, secondo la ragioneria dello stato. Costo di un F35: circa 100 milioni.
Con la fiducia di una sola camera il governo sarà più stabile. Solenne corbelleria. Sapete quante crisi di governo sono nate dalla sfiducia di una sola camera? 2, entrambi i governi Prodi. Su 63 governi della storia repubblicana. Se ci sono stati tanti governi di breve durata non è colpa del sistema: è colpa dell'orientamento dei gruppi parlamentari, che varia al variare dell'interesse.
Meglio il sì che il nulla. Qui addirittura siamo all'ultimo rifugio della logica. Se vince il no rimane la Costituzione vigente. Che come disse Roberto Benigni, quando era vivo, è la più bella del mondo.
Andrea Galassi