Sinistra Ecologia e Libertà sembra avere la memoria corta. Dimentica che nel maggio del 2013 presentò alla Camera una mozione con la quale si riconosceva l’esigenza della modifica della Costituzione e si formulavano precise proposte.
Si affermava l’esigenza di rivedere la Costituzione non nella sua prima parte, ma solo nella seconda, quella che si occupa della organizzazione dello Stato. Ebbene la prima parte, dove si enunciano i principi fondamentali su cui deve reggersi lo Stato democratico e si stabiliscono i diritti e i doveri dei cittadini nel campo politico, economico e sociale (e che ci consente di dire che la nostra è la Costituzione più bella del mondo), dalla riforma non viene assolutamente toccata.
Veniva proposta una riduzione del numero dei Deputati e dei Senatori, senza quantificarla. Nella riforma non si riduce il numero dei deputati, per la ovvia ragione che alla Camera viene affidata la responsabilità di produrre la maggior parte delle leggi che possono incidere sullo sviluppo economico, sociale e civile del Paese e forse non è un male che il Paese vi sia ben rappresentato. Tuttavia al Senato, trasformato in Assemblea di rappresentanza delle Regioni e dei Comuni, viene tagliato drasticamente il numero dei Senatori che passano da 315 a 100.
Era richiesto di rendere obbligatorio l’esame e il voto sulle proposte di legge di iniziativa popolare; di fissare limiti rigidi per i decreti approvati, in via d’urgenza, dal Governo (i così detti decreti-legge) ed infine si auspicava una puntuale ridefinizione dei criteri di ripartizione delle materie di competenza dello Stato e delle Regioni.
Ebbene nel nuovo articolo 71 della Costituzione viene stabilito che “la discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge di iniziativa popolare sono garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari”. In altre parole, un volta entrato in vigore il nuovo art.71, le proposte di legge di iniziativa popolare non potranno più essere messe nel dimenticatoio, come è successo fino ad oggi, ma dovranno (dovranno e non potranno) essere esaminate e votate. E a tale scopo i Regolamenti della Camera dei deputati e del Senato dovranno stabilire le modalità e i tempi della discussione e della votazione.
Al successivo articolo 77 sono stabiliti ben precisi limiti alla decretazione d’urgenza. Il Governo non potrà più riadottare un decreto-legge non convertito in legge o regolare i rapporti giuridici sorti con tale decreto, con un secondo decreto preso in via d’urgenza. Viene poi stabilito che, in sede di conversione in legge, non potranno più essere aggiunte norme che nulla hanno a che vedere con le finalità e l’oggetto del decreto. In sostanza si fa esplicito divieto di approvare i famosi maxi emendamenti, che si occupano di tutto e di più.
Ed infine, quanto alla necessità, evidenziata da SEL, di stabilire precisi criteri di ripartizione delle materie su cui lo Stato e le Regioni possano legiferare, viene data risposta con la modifica dell’art.117, non felicemente modificato nel 2001 quando fu riconosciuto alle Regioni il potere di emanare leggi in materie di evidente interesse nazionale ( come il commercio con l’estero; la ricerca scientifica e tecnologica; la protezione civile; le grandi reti di trasporto e navigazione; la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia………….).
Ma allora che cosa è successo dal maggio del 2013? Come mai si è detto NO alla riforma in Parlamento e si dice NO, con molta animosità, alla sua approvazione con il referendum del 4 dicembre? Misteri o giochi della politica? O il NO è strumentale? Serve solo, se dovesse passare, a raggiungere l’obiettivo (comune a tutti i partiti di opposizione) di mandare a casa l’attuale Governo? A sentire le dichiarazioni di autorevoli rappresentanti di quei partiti, sembra molto credibile, anzi è certa, la seconda ipotesi.
Comitato del SI al Referendum