Càpitano, nella vita di ogni individuo che abbia un’etica personale e civile, delle battaglie di giustizia e di libertà irrinunciabili.
La lotta per la difesa dell’ospedale di Portoferraio è una di queste. A prescindere dal patrimonio ideologico, dalle opinioni politiche, dalle logiche di appartenenza partitica, dallo status sociale.
Come non definire infatti se non giusta e sacrosanta la difesa dell’unico ospedale che possiede da parte di una comunità di trentaduemila abitanti, sparsi su otto comuni, che rivendica, con i propri sindaci in testa, il diritto alla salute garantito dalla costituzione?
E come non chiamare una battaglia di libertà quella combattuta dal primo cittadino del capoluogo che, sentendosi responsabile della sua gente, sfida logiche di schieramento nella sua città e nei palazzi livornesi e fiorentini?
E non è forse normale e plausibile che un’isola di fama internazionale, che attira consistenti flussi turistici, preziosa per l’economia di tutta la regione, pretenda un presidio ospedaliero degno di questo nome, capace di sopportare nella stagione estiva una pressione di duecentomila persone?
E’ intollerabile al contrario che ciò non avvenga e che, ai disagi oggettivi legati alla condizione d’insularità, si aggiunga nei residenti la percezione cronica dello stato di assoluta inadeguatezza dell’offerta sanitaria presente sul territorio rispetto alla domanda di cura e tutela del bene primario che possediamo, la salute.
Se la sanità toscana fosse la cenerentola d’Italia ci sarebbe qualche attenuante ma per fortuna non è così e sappiamo bene che nella nostra regione esistono diffuse strutture ospedaliere d’eccellenza.
Allora è indispensabile che, a causa dei tagli imposti dal governo, si facciano delle scelte e si rinunci all’ulteriore potenziamento di ospedali esistenti o addirittura alla costruzione di nuovi e si drenino risorse all’ospedale elbano, per riportarlo ad un livello accettabile di prestazioni sanitarie.
I cittadini dell’Isola d’Elba hanno gli stessi doveri degli altri abitanti della regione ma molti meno diritti perché la loro esposizione ai rischi mortali di un’assistenza carente è molto più alto.
Si ha anzi l’impressione che nei confronti di quella che nei depliant pubblicitari fa comodo definire “la perla del Tirreno”, ma che nei fatti è trattata come una scarpa rotta, si eserciti continuamente, forse inconsapevolmente, un pregiudizio secolare: gli isolani sarebbero più ignoranti, più arretrati, più fatalisti, più docili, meno attrezzati culturalmente e intellettualmente.
E quindi… se c’è da sacrificare un pezzo di sanità, perché non quella elbana? Che sia l’Elba l’agnello sacrificale sull’altare dei tagli!
Come si spiega altrimenti la sordità di Livorno e di Firenze alle nostre richieste? Il mancato rispetto degli impegni presi l’anno scorso? La mancata approvazione del Piano Sanitario Regionale da parte del consiglio, sebbene già approvato dalla giunta?
In quel Piano esiste già quello che vogliamo perché vi si parla della specificità elbana e se ne provvede.
Presidente Rossi -che non si è degnato di rispondere alla lettera dei comitati che da anni, prima delle forze politiche locali, combattono per i diritti di tutti- il suo silenzio e il suo distacco nei nostri confronti non hanno giustificazioni.
Ma nella lettera c’è scritto: gli elbani sono stati forgiati col ferro delle loro miniere e col sale del loro mare; gli elbani sono memori della loro storia, delle battaglie che sono state combattute per poter continuare a vivere su quest’isola; delle lotte che i loro minatori hanno combattuto, contro le condizioni di bestiale sfruttamento cui erano sottoposti; dei sacrifici dei loro marinai, che salutavano la loro famiglia per mesi e andavano a “strusciare” l’Oceano; delle fatiche dei loro pescatori, che si spostavano a remi, a forza di braccia, fino a Capraia per far mangiare i figli;
degli sforzi immensi dei loro contadini che, terrazzandole, trasformavano in vigne le pendici delle colline, su su, fino in cima, ad altezze incredibili.
Perciò le battaglie di giustizia e di libertà non ci fanno paura. In nome di chi ci ha preceduto e per il bene dei nostri figli, se vorranno continuare a vivere su quest’isola.
M. Gisella Catuogno