Il fallimento del referendum del 4 dicembre non ha lasciato solo un pesante strascico, i cui effetti stanno segnando fortemente le vicende politiche, ma anche cruciali questioni istituzionali che non sembrano finora interessare però più di tanto. Anche il dibattito congressuale del Pd –quando lo è stato effettivamente-lo ha perso praticamente per strada. Eppure fu presentato come una proposta che dopo decenni di rinvii e ritardi, avrebbe rivoluzionato il nostro assetto istituzionale mettendo finalmente al passo le rovinose regioni, quelle ordinarie perché quelle speciali venivano al contrario premiate perché politicamente non creassero problemi. Lo stato si riprendeva tutti –o quasi- i suoi ciottolini, che il precedente titolo V aveva troppo generosamente consegnato alle regioni con le competenze concorrenti. Anche le autonomie, e non solo le province cancellate addirittura dalla Costituzione, ne sarebbero uscite male. Ma il tutto non fu solo presentato come indispensabile al funzionamento istituzionale, ma anche come prova e testimonianza di che panni vestiva finalmente la nuova direzione politica del paese.
Come non ricordare le ripetute e spocchiose dichiarazioni di Renzi e della Boschi in cui si rivendicava il coraggio di avere finalmente messo in riga quegli spendaccioni e spreconi delle regioni. La debacle del 4 dicembre, attribuita se non del tutto in larghissima misura ad un voto antirenzi, non ha registrato finora una riflessione su quanto il NO, anche a sinistra sia stato determinato dal merito di quelle scelte. E’ vero –e questo va autocriticamente riconosciuto- che anche chi ha contestato il titolo V non ha accompagnato questa critica con proposte alternative. Una ragione in più per farlo ora, che quei problemi irrisolti dal vecchio Titolo V restano in attesa di una risposta che (non) sarebbe potuta venire da quello nuovo. E da qui deve ripartire una iniziativa e riflessione del partito. Il vecchio Titolo V si era posto il giusto problema, allora divenuto irrinviabile, di garantire quella leale collaborazione istituzionale tra stato-regioni –autonomie, resa impossibile da una perdurante e penalizzante supremazia statale. Le risposte date -come ben sappiamo- non hanno funzionato ma la toppa del nuovo Titolo V si è rivelata peggio del buco che rimane.
Non è quindi di un ritorno ad una supremazia, addirittura provocatoria per più versi, di cui oggi c’è bisogno. C’è bisogno di quella leale collaborazione costituzionale di cui avvertiamo ogni giorno di più l’urgenza che si tratti delle trivelle, della legge Madia, del gassificatore, delle politiche ecosostenibili o dell’aereoporto di Peretola. Per restare in Toscana, i Gelli, Parrini, Marcucci che hanno decantato il nuovo titolo V non farebbero bene a pensare di cambiare registro? Perché non discuterne finalmente in qualche iniziativa di partito.
Renzo Moschini