Legambiente Arcipelago Toscano insorge contro l’ipotesi di un impianto termale a Cala Seregola “scelta sbagliata di un turismo superato”, senza approfondire il tema del risanamento ambientale dell’intero ex compendio minerario, né in termini programmatici (come fare) né economici (con quali risorse).
“Ancora una volta, - afferma - invece di procedere alla messa in sicurezza di strutture minerarie che andrebbero valorizzate come archeologia industriale, si vuole procedere alla loro demolizione definendole semplicemente come “fatiscenti volumetrie”.
Questa uscita, a dire la verità, specie dopo l’intervento del Presidente Sammuri nell’incontro in Regione del 10 scorso sulle zone DS del Parco, un po’ me l’aspettavo sentita la sua testuale affermazione “a meno di non avere l’opposizione di Legambiente” perché a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina.
La cosa alla quale non avevo pensato è quella però che sul mio territorio non ci sono, come spiegavo nell’intervento del 15 aprile, 4 vincoli (paesaggistico, PIT, PNAT e di archeologia industriale), ma ce n’è un quinto, quello di Legambiente, più severo e condizionante degli altri.
Ma che paese è mai questo, che non permette ad organi democraticamente legittimati di svolgere la proprie funzioni, sulle quali intervengono pesantemente associazioni private che trovano udienza per condizionarle e limitarle?
Il Comune di Rio Marina, divenuto proprietario delle aree ex minerarie, ha un dovere di valorizzazione sancito dalla legge di assegnazione e quindi di ripristino ambientale del territorio, che non può essere perseguito senza l’attuazione dell’art. 13.3 del Piano del PNAT, dimenticato da 7 anni, che prevede appunto un allentamento dei vincoli imposti dalla norma di salvaguardia, dettata dall’art. 20.7, che impedisce qualsiasi intervento salvo la demolizione, sì la demolizione che Legambiente non vuole in nome della salvezza delle “fatiscenti volumetrie”,
Ma con quali risorse si pensa di mettere in sicurezza “le strutture minerarie che andrebbero valorizzate come archeologia industriale”, con quelle pubbliche dello Stato o del PNAT, da sempre assente nella gestione di questo territorio, che non presenta nemmeno quei caratteri di biodiversità che ne giustificano la perimetrazione nel Parco?
No, carissimi ambientalisti che volete conservare l’esistente degradato, suggellando il territorio, il ripristino ambientale e il recupero dei luoghi si può fare solo con risorse private ricavabili dalla valorizzazione delle aree, prevista dalla legge n° 69/2013, attraverso un allentamento dei vincoli imposti dalla norma di salvaguardia e attuando e magari rivedendo quel “Piano integrato di valorizzazione delle aree minerarie” previsto dallo stesso piano del Parco e mai attuato, a dimostrazione che l’Ente non svolge i compiti che si è dato.
Noi non vogliamo certo cementificazione, tanto è vero che siamo disposti a ridurre sensibilmente anche le volumetrie insediate, ma vogliamo, con l’attuazione del piano integrato una diversa fungibilità delle stesse, in modo che ne sia consentita la valorizzazione per gli scopo anzidetti ed evitato un abusivismo di destinazione che ci penalizza.
Né vogliamo, come paventa Legambiente, speculazione, dal momento che le aree di cui si tratta sono pubbliche.
Abbiamo semplicemente richiesto questo, che sta poi nelle N.t.a. del piano, e mi domando come si faccia paradossalmente a criticare una misura già prevista nel 2010, di cui la “zona benessere” in discussione potrebbe essere un postulato secondo un concetto non solo di sostenibilità ambientale, che va incontro alle richieste del mercato, ma soprattutto di sostenibilità economica in un momento dove gli impianti termali tradizionali soffrono di una crisi di mercato per il mancato sostegno della sanità pubblica.
La mancata attuazione del Piano integrato di valorizzazione condannerebbe quel territorio al permanere e all’aggravarsi del dissesto non solo delle strutture esistenti, ma dello stesso ambiente, condannato al degrado idrogeologico e al naturale inquinamento portato dai materiali depositati e che vi si depositano per effetto del ruscellamento a valle dei residui minerari, che già crea problemi sulla spiaggia di Cala Seregola e l’accensione di un faro della Magistratura.
Viste le premesse, quali l’assoluta inattività del Parco Nazionale e le uscite di Legambiente, subito pronta a far valere il suo potere condizionante sul Consiglio Direttivo “…E’ anche abbastanza sconcertante che il Sindaco e la giunta Regionale stiano tentando di dettare tempi e modi di una variante al Piano del Parco al Direttivo del Parco Nazionale – finora mai realmente coinvolto – (ma che costituisce una norma programmatica del citato Piano ai sensi dell’art. 13.3 n.d.r.) che, a differenza di quanto crede il Sindaco, è l’unico vero organismo di governo titolato a discutere e approvare una modifica al Piano del Parco. …..sarà un battaglia lunga e difficile alla quale siamo preparati contro la filosofia del non fare, per fare invece l’interesse della nostra Comunità.
Poiché Legambiente Arcipelago difende “la messa in sicurezza di strutture minerarie che andrebbero valorizzate come archeologia industriale” e come per il Puppaio dichiara di disporre di tecnici per progettarne il recupero, la invitiamo ad un sopralluogo congiunto delle strutture per valutarne la staticità, fonte di pericolo per coloro che si avventurano nel retro spiaggia e di responsabilità per l’Amministrazione.
Solo così potrà essere valutato, e non con semplici enunciazioni di principio, lo stato dei luoghi e le iniziative complessivamente da adottare che non sono esclusivamente tecniche ma anche finanziarie.
Non vorremmo però che come già successo per il Puppaio, per il quale aspettiamo ancora la chiamata dei tecnici di Legambiente che hanno messo in discussione un progetto che ha passato tutte le fasi di approvazione con molteplici conferenze di servizi, e venerdì per l’Assemblea sulle Terme di Cavo, ignorassero semplicemente l’invito di partecipazione loro rivolto a vantaggio di censure calate dall’alto.
Il Sindaco di Rio Marina
Renzo Galli