“IN POLITICA SONO I MEZZI CHE DEVONO GIUSTIFICARE IL FINE” (Albert Camus)
“Mi hai detto che quasi tutti i ragazzi di tua conoscenza sono completamente indifferenti ai politici e alla politica: pensano che tutta la faccenda sia una presa in giro orchestrata da emeriti furfanti che mentono perfino quando dormono: sono convinti che la gente comune non possa far nulla per cambiare le cose, perché tanto l’ultima parola è sempre di quei quattro ‘furbi’ che stanno in alto. Insomma, conviene molto di più dedicarsi a vivere il meglio possibile e a guadagnare dei bei soldini, perché tanto il resto sono storie e tempo buttato”. Così scriveva quasi venticinque anni fa, Fernando Savater in un bellissimo libro intitolato “Politica per un figlio”.
Da allora l’atteggiamento dei giovani descritto da Savater è divenuto atteggiamento generale (i ragazzi di allora sono gli uomini d’oggi, e i nuovi ragazzi sono loro figli), grazie al contributo determinante di “intellettuali” superficiali e spericolati, che hanno diffuso e reso popolare la teoria che la politica è “tutto un magna magna” (Rizzo e Stella, del “Corriere della Sera”, fra i più attivi). Con il risultato che sempre più la politica è abbandonata a se stessa, e questo non migliora certamente la situazione.
Può essere stata una reazione al tempo precedente, quando, come dice ancora Savater, “la cosa più naturale era interessarsi di politica, emozionarsi per le grandi lotte rivoluzionarie e sentire come propri i problemi di persone lontane di migliaia di chilometri. <…> Si dava per scontato che essere “buono” politicamente significasse essere libero di infischiarsene della morale comune; adesso invece sembra accettato il fatto che tentare di comportarsi eticamente nella sfera privata sia già abbastanza, e che non ci sia nessun bisogno di impicciarsi dei problemi pubblici, cioè politici. Temo che nessuna di queste due posizioni sia realmente sensata, sensata del tutto”. Savater non è un radicale, come si vede, ma propone riflessioni sapienti e normali, e non neutrali, come quando osserva: “Gli antichi greci <…> definivano chi non si occupava di politica col nome di ‘idiótes’; questa parola significa ‘persona isolata’, che non ha nulla da offrire agli altri, ossessionata dai piccoli problemi di casa sua e in fin dei conti alla merce’ di tutta la comunità. Da quell’idiótes greco deriva il nostro ‘idiota’ attuale, e non c’è bisogno che ti spieghi [al figlio, cui è rivolto il libro], che cosa vuol dire. Nel libro precedente [“Etica per un figlio”] ho osato dirti che l’unico obbligo morale che abbiamo è quello di non essere imbecilli, nelle svariate forme di imbecillità che possono rovinarci la vita <…>. Il messaggio di questo libro <…> è un po’ aggressivo e irriverente, visto che può essere riassunto in tre parole: non essere idiota. Se mi sopporterai ancora un po’, tenterò di chiarirti, nei prossimi capitoli, ciò che voglio dirti con questo consiglio che suona così poco gentile…”.
E’ superfluo che dica quanto abbia trovato utile la lettura di questo libro di Savater, come anche del precedente, per la mia professione di insegnate, e quanto calorosamente ne suggerisca la lettura a tutti gli educatori. Perché permette di affrontare temi importanti e spesso dimenticati nel rapporto con i giovani, ai quali dedichiamo tante (forse troppe) attenzioni materiali, lasciandoli più soli di fronte ai loro bisogni di orientamento esistenziale, di fronte alle loro passioni che nel nostro tempo attuale sono spesso, come dice Miguel Benasayag, “Passioni tristi”.
Prosegue Savater: “In questo libro cercheremo di riflettere un po’ sul fatto fondamentale che gli uomini non vivono isolati, ma riuniti in società. Parleremo del potere e dell’organizzazione, del mutuo soccorso e dello sfruttamento dei deboli da parte dei forti, dell’uguaglianza e del diritto alla differenza, della guerra e della pace. Parleremo delle ragioni dell’obbedienza e di quelle della ribellione. Come nel libro precedente, parleremo soprattutto della ‘libertà’ (non dimenticare mai le schiavitù paradossali che racchiude in sé, ma non fidarti neppure di quelli che la ridicolizzano o la considerano una favola da bambini). <…> Anche se in questo libro penso di schierarmi apertamente da una parte o dall’altra <…>, non ho intenzione di fare la morale alla fine su chi sono i ‘buoni’ e chi i ‘cattivi’, né ti consiglierò chi devi votare e neppure se votare. Andremo alla ricerca delle questioni fondamentali, di ‘ciò che è in gioco’ nella politica e non di ciò a cui giocano i politici… dopo di che, tu avrai l’ultima parola: fa in modo che nessuno te la tolga né la pronunci al posto tuo”.
Le ultime parole del filosofo spagnolo ci portano al qui e oggi.
Mi piacerebbe che nella competizione elettorale in corso si parlasse, si fosse parlato, di più di “ciò che è in gioco” e di meno di ciò a cui giocano i politici. E mi piacerebbe aver proposto, con i miei interventi, non la contrapposizione fra “buoni” e “cattivi”, e neppure il consiglio su chi votare, e neppure se votare.
La politica non può essere una cosa di piccoli interessi personali. La Politica, come l’hanno intesa sempre gli uomini di pensiero (da Aristotele a Cicerone, a Dante, a Machiavelli, a Hobbes, a Rousseau, a Tocqueville, a Marx, a Savater), è cosa troppo più grande e importante: è l’arte del vivere bene insieme, della pace, dell’armonia, della bellezza.
Claudia Danesi
(nella foto Albert Camus)