Il dibattito politico sul futuro del paese e anche sul ruolo dei partiti, diversamente da altre stagioni, non sembra riuscire a raccordare il ruolo delle istituzioni e i programmi soprattutto in riferimento al governo del territorio e dell’ambiente.
Che si tratti di incendi o di inquinamento marino e terrestre, di aree terremotate o di rifiuti o abusivismi, le istituzioni centrali e periferiche appaiono sempre più soggette ad una crescente e diffusa criminalità e non rispetto della legge. E sempre più sbrindellate tra di loro. E qui si impone una prima considerazione, dopo la insopportabile cantilena precedente al referendum, ma non scomparsa del tutto neppure dopo, sul fatto che sui nostri ritardi ha pesato e pesa lo storico ritardo a mettere finalmente in campo leggi coraggiose di stampo renziano. Insomma quelle del referendum.
Quello che invece emerge sempre più chiaramente è che risultano strapazzate, ignorate e inattuate ottime leggi in vigore da anni. Tra le più recenti sicuramente quella a lungo attesa sugli eco-reati che abbondano. Ancor più clamorosa la vicenda sarda, denunciata dall’Espresso, che vede la regione speciale della Sardegna, dotatasi con Soru di una ottima legge sulle coste (autore Edoardo Salzano), e che ora, sempre da una giunta Pd, viene ignorata per riaprire sulle coste della Sardegna entro i 300 metri la più scandalosa speculazione.
Ma non meno clamorose sono le inadempienze istituzionali rispetto a leggi come quella sul mare, quella sul suolo (la 183), quella sui parchi (la 394) che il parlamento sta massacrando mettendola del tutto fuori gioco.
E qui veniamo alla seconda considerazione che riguarda appunto la profonda differenza tra la stagione in cui il paese riuscì a dotarsi innovative leggi sul governo del territorio e dell’ambiente e quella attuale. Allora lapolitica seppe farsi carico, non senza difficoltà e resistenze, di una legislazione coerente con la nostra Costituzione: con l’art. 9 (paesaggio e ambiente) e l’art. 5 (lo Stato deve adeguare la legislazione “alle esigenze e ai metodi dell’autonomia e del decentramento”). Che il referendum violasse clamorosamente queste norme era chiaro per chi aveva occhi per vedere. Ma già molto prima del referendum la situazione aveva preso quella brutta piega che ha via via fatto sparire di fatto dalla scena piani di bacino, piano della costa, piani paesistici sottratti alle aree protette, parchi che non hanno mai raggiunto un adeguato raccordo tra terra e mare e tra ministero e regioni. Anche i tentativi di superare l’imperante centralismo aprendo alle regioni un concorso ad uno stato pretenzioso non sono andati a buon fine. Il rimedio previsto dal referendum –l’estromissione delle regioni da qualsiasi ruolo dignitoso– era peggiore del male ed è stato giustamente bocciato. Il problema resta quello di ristabilire un ruolo cooperativo tra le istituzioni, restituendo alla politica un ruolo di cui si erano perse le tracce già al tempo del governo Monti.
Le politiche rivolte a una pianificazione e a una programmazione in grado di mettere a frutto la cooperazione tra i diversi livelli municipali, provinciali, regionali e nazionali e di raccordarsi alle politiche comunitarie in cui brilliamo per le infrazioni, su cui paghiamo multe salate, risultano oggi rese fragili dall’abrogazione delle province che hanno accentrato sulle regioni compiti gestionali, anziché di programmazione, l’abrogazione delle Comunità Montane, mentre sui comuni oltre ai tagli pesano i tentativi di aggregazione volti esclusivamente al taglio delle spese e non di una intercomunalità preziosa, specie in quelle aree interne segnate da abbandoni. Si aggiunga il passaggio del Corpo Forestale dello Stato ai Carabinieri, che sottrae, specie nei territori più esposti anche ad azioni criminose, una competenza qualificata e rodata. Mi riferisco a quei territori, come dice la legge toscana sul governo del territorio del 2014, definibili come ‘l’insieme delle strutture di
lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future’. Si tratta di territori dove spesso operano non a caso aree protette, di cui riesce difficile capire perché nella loro gestione risultino indispensabili rappresentanze di talune categorie, come stabilisce la nuova legge quadro in discussione al Senato.
La conclusione di questo molto sommario riepilogo è semplice; se i partiti, a cominciare dal Pd, non rimetteranno in agenda questi aspetti non delegabili né all’associazionismo, né tanto meno alle categorie, per evitare innanzitutto situazioni desolanti come quella in corso in parlamento sui parchi, sull’ambiente possono chiudere bottega.
Per chi come me è da anni che si occupa di ambiente per conto della sinistra restare sul treno attuale sarà sempre più difficile. Non per odio ma per incazzatura.
Renzo Moschini