Nel 2017 il premio Nobel per la Fisica fu assegnato a tre scienziati (Rainer Weiss, Barry Barish e Kip Thorne) per aver contribuito alla prima rilevazione di un’onda gravitazionale, fino ad allora presente solo sui fogli di carta come conseguenza matematica della Teoria della Relatività. Questo riconoscimento non rimase fine a se stesso, bensì indusse a livello globale un nuovo fermento per gli studi sul cosmo e dal punto di vista pratico permise la nascita di numerosissimi nuovi progetti sperimentali, anche molto onerosi per impegno e dal punto di vista economico.
Nacquero in questo modo nuovi satelliti e telescopi, ma anche nuovi “team” di ricercatori e progetti che tutt’oggi raggruppano molte nazioni verso uno sforzo congiunto sulle nuove conoscenze in campo astronomico e astrofisico, in particolare sulle origini del mondo come noi lo conosciamo dal Big Bang in poi.
Uno di questi gruppi si chiama “KM3NeT Collaboration” e raggruppa scienziati, ingegneri e tecnici da molti paesi, dall’Australia, all’Asia, ai Paesi Arabi, all’Africa, all’America e all’Europa. Di questo progetto l’Italia è capofila attraverso varie sedi dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) la più importante delle quali, per il progetto in questione, è quella di Catania.
La collaborazione ha un obiettivo tanto semplice da dire quanto difficile ed ambizioso da raggiungere: rilevare con alta risoluzione i neutrini cosmici. Vediamo cosa sono e perché è importante studiarli…
Così come tante altre cose, anche i neutrini nacquero da menti italiane in quella grandissima scuola che scatenò un fermento conoscitivo enorme nella prima metà del secolo scorso, quando fisici del calibro di Amaldi e Fermi insegnarono al mondo come ragionare di particelle subatomiche. Il nome ‘neutrino’ nacque come scherzoso riferimento al ‘neutrone’, ben noto e presente in ogni nucleo atomico. Il diminutivo era dovuto alla massa, che per questa particella subatomica è davvero piccolissima: basti pensare che per quanti sforzi si siano fatti per misurarla, nessuno ha mai ottenuto un valore plausibile più grande di zero kg, sebbene si sappia per certo che zero non può essere (grazie ad altre considerazioni che esulano da questo contesto e che vi risparmio). E siccome invece la massa del neutrone è grande, se paragonata ad altre particelle, ecco così che la nostra particella fu chiamata con il diminutivo ‘neutrino’ [1]. Ma perché partire proprio dal nome del neutrone e non di altre particelle ? Per una seconda proprietà che li accomuna: sono entrambi particelle neutre, cioè non hanno né carica positiva né carica negativa.
Quindi riassumendo il neutrino è una particella subatomica con:
- massa piccolissima
- nessuna carica elettrica
La prima di queste due proprietà implica che praticamente non subisce la forza gravitazionale: più un corpo ha massa, più forza lo attrae verso il centro della terra; ad esempio è molto più faticoso lanciare in aria una sfera di 1kg di ferro piuttosto che una pallina da ping-pong di qualche grammo, poiché ben diversa è la forza diretta in verso opposto a cui il movimento del nostro braccio deve opporsi.
La seconda implica che non è condizionato dalla forza elettromagnetica: ad esempio il campo magnetico terrestre non ha alcun effetto sul suo moto. La conseguenza più importante è che il neutrino riesce ad attraversare la materia senza essere minimamente disturbato.
Rilevare neutrini non è uno sport o una bizzarra attività svolta da scienziati che non trovano di meglio da fare. È un modo per contribuire quantitativamente al fine più nobile della Fisica stessa: capire e spiegare l’universo in cui ci troviamo.
I neutrini sono prodotti dalle reazioni nucleari, sia quelle di fissione che conosciamo sul nostro pianeta e che nei vari reattori producono energia, sia quelle di fusione che normalmente avvengono nelle stelle o a seguito dell’esplosione di una supernova. Misurarli significa quindi “fotografare eventi lontani”.
Rilevare altri tipi di particelle è decisamente più semplice, ad esempio un fotone luminoso che colpisce un sensore ottico genera direttamente un “simpatico” elettrone, il che significa che un flusso di fotoni genera direttamente una corrente elettrica che siamo capaci di misurare molto bene. Se ci pensiamo un attimo, è grazie a questa semplicità che un normale smartphone oggi ha il lusso di possedere addirittura due o tre fotocamere, ovvero due o tre “rivelatori di fotoni”.
Diversa è la storia con i neutrini che, siccome non interagiscono con la materia e siccome sono soggetti alla sola “forza debole”, non danno modo di essere rilevati direttamente. Per farlo si deve sfruttare un qualche modo indiretto, come ad esempio rilevare quelle rare particelle cariche con cui il neutrino avesse la ventura di interagire durante la propria corsa. Ma non solo: quasi tutte le radiazioni cosmiche, quando vengono a contatto con l’atmosfera terrestre, producono particelle cariche che raggiungono la crosta terrestre e vi penetrano. Per rilevare i neutrini occorre dunque schermare tutti questi segnali di disturbo e andare a posizionare il rivelatore là dove altro non può arrivare.
Tipicamente i misuratori di neutrini involvono l’uso di grandi masse di acqua o ghiaccio poste centinaia di metri sotto la crosta terrestre per catturare i piccoli segnali rivelatori che nascono quando le nostre particelle interagiscono con l’acqua. Queste interazioni si lasciano dietro nuove particelle, questa volta con carica elettrica, che si muovono a una velocità prossima a quella della luce e che possono percorrere a loro volta lunghissime distanze.
Quando una particella generata dall’interazione con un neutrino attraversa l’acqua, emette una luce azzurra. Il fenomeno fu osservato durante le fasi di raffreddamento delle prime centrali nucleari, nelle quali il nucleo era raffreddato in acqua e questa emissione [2] prese il nome del suo primo scopritore ed è chiamata “radiazione di Cherenkov”:
Figura 1. Il bagliore azzurro della radiazione di Cherenkov nella zona di raffreddamento di una centrale nucleare, causata dall’emissione di neutrini.
Ecco quindi come rilevare l’enigmatico neutrino: misurando la luce prodotta dalla sua interazione con una particella carica. Facile a dirsi, molto complesso a farsi…
Innanzi tutto dobbiamo immaginare che il sistema deve misurare una singola, sparuta particella proveniente dal cosmo, non certo l’abbondante flusso generato da un reattore come in Figura 1, che sembra la bella illuminazione di una piscina. Quindi ci si deve aspettare un bagliore azzurro impercettibile e che dura pochissimo, per rilevare il quale occorre un sensore ottico incredibilmente prestante e sensibile.
Poi resta vero che dobbiamo liberarci dalla pletora dei segnali di disturbo generati da altre radiazioni cosmiche che colpiscono la nostra atmosfera e si propagano fin sulla superficie terrestre. Quindi il nostro sensore non solo deve essere immerso in acqua, ma deve stare molto profondo o ben sotto la crosta terrestre.
Infine, non ci basta sapere che è passato un neutrino, vogliamo conoscerne energia e direzione di provenienza, per poterle poi riferire alla sorgente cosmica che l’ha generato identificando così l’oggetto astrofisico da cui proviene (ad esempio una supernova ben precisa). Questo implica che il sensore di luce azzurra non deve essere ‘uno’, bensì far parte di un numerosissimo gruppo di rilevatori disposti in modo opportuno e tale da permetterci di “seguire” la corsa del neutrino mentre li attraversa.
Il progetto KM3NeT si compone di due strutture di rilevazione, entrambe in mare, una posta al largo di Tolone in Francia e l’altra, chiamata ARCA, a sud della costa siciliana precisamente al largo di Portopalo di Capo Passero ad una profondità di 3450 metri e connessa per mezzo di cavi elettrici e ottici alla stazione a terra dell’INFN, Laboratori Nazionali del Sud (LNS) a Catania.
Si tratta di un sistema di sensori “a bolle” in cui i fotorivelatori sono incastonati in enormi sfere poste su numerose colonne ancorate al fondale marino. Quando ARCA sarà completato sarà dotato di ben 230 torri di rilevazione verticali, ciascuna composta da 18 moduli ottici a sfera come quello di Figura 2. Ciascuna sfera contiene 31 sensibilissimi tubi fotomoltiplicatori da 3 pollici per rilevare la radiazione di Cherenkov di un singolo neutrino, puntando in tutte le direzioni. Una struttura davvero grandiosa.
Figura 2. Fotografia di una delle sfere di rilevazione dei neutrini posizionata lungo una delle colonne a più di 3000 metri di profondità.
Ancora in piena in fase di costruzione e lungi dall’essere completo, il sistema ARCA ha già fatto parlare di sé lasciando attoniti molti scienziati, primi fra tutti proprio coloro che partecipano al progetto. Con solo il 10% dei componenti pianificati messo in opera, è stato rilevato qualcosa di veramente straordinario [3]: una particella con energia stimata di 120 PeV (Peta-elettron-Volt) ha attraversato in modo quasi orizzontale il telescopio (il moltiplicatore Peta è pari a 1015 cioè 1000000000000000. Stiamo parlando di un’energia diecimila volte maggiore di quella generata all’interno del più grande acceleratore di particelle che noi umani siamo riusciti sinora a costruire).
Proprio l’orizzontalità del percorso ha permesso di escludere che si trattasse di una particella generata nella nostra atmosfera, poiché l’ammontare di roccia solida che avrebbe dovuto attraversare in quel caso sarebbe stata un efficace scudo contro questo tipo di particelle. Gli scienziati hanno quindi concluso che si sia trattato del più energetico neutrino cosmico mai rilevato, che ha interagito con la materia proprio vicino al telescopio ARCA.
La seguente figura mostra il percorso della particella, che come detto è stato quasi orizzontale e parallelo alla superficie terrestre. Tuttavia la benché piccola inclinazione gli ha permesso di raggiungere ARCA e venir rilevato. La figura offre anche una diretta percezione della conformazione della terra nel sud della Sicilia, con una sorta di scalino che sprofonda fino ad oltre 3000 metri di profondità:
Figura 3. In rosso il percorso del “neutrino siciliano”, che dopo aver attraversato una piccola parte di zona terrestre è ri-sbucato in mare attraversando i sensori di KM3NeT.
La ricostruzione del percorso ha permesso di determinare quindi la direzione di provenienza del neutrino e la regione dello spazio relativa, ma non l’oggetto astrofisico che lo ha generato (finora).
Ed ecco infine una “fotografia” dell’evento, tra virgolette perché questo tipo di evidenze può solo essere ricostruita incasellando uno ad uno tutti i segnali misurati nel tempo da ogni singolo tubo fotomoltiplicatore di ogni singola sfera che compone ogni singola torre:
Figura 4. Rappresentazione 3D dell’evento “rilevazione del neutrino siciliano”. La Torre Eiffel è un oggetto grafico scelto per mostrare l’inclinazione di questa vista 3D. A sinistra in azzurro il cono della luce di Cherenkov generato dal passaggio della particella associata al neutrino.
La figura va interpretata nel seguente modo: ogni torre di sensori ha un numero identificativo riportato in alto. Si evidenzia quindi, come detto, che solo una piccola parte delle torri previste era attiva al momento dell’evento e che alcune torri non hanno generato segnali del passaggio perché lontane dal cono di luce di Cherenkov, come ad esempio la torre numero 23 a sinistra in Figura 4.
La prima torre ad aver osservato il passaggio è stata la numero 28 a destra e le sferette a grappolo colorate lungo la torre mostrano l’intensità del segnale rilevato. Quindi la particella ha attraversato la metà inferiore delle torri, poiché i sensori in alto non hanno riportato segnali significativi.
Lungo tutte le torri interessate, i segnali più forti sono centrali e vanno via via scemando sia verso i sensori posti in basso che verso quelli posti in alto, riproducendo l’ampiezza del cono di luce di Cherenkov.
Questo evento è stato dunque eccezionale per due motivi: da un lato ha catturato un neutrino di energia elevatissima, mai evidenziato prima; dall’altro ha convalidato ante-tempore la funzionalità di uno strumento di misura ciclopico e molto innovativo, un laboratorio posizionato a più di 3000 metri sotto il livello del mare. Il neutrino siciliano ha dato nuovo entusiasmo allo studio delle particelle e del cosmo, ricordando al mondo la grande Scuola italiana, troppo spesso bistrattata e considerata di minor valenza rispetto a Scuole meno brillanti solo perché queste hanno fondi per la ricerca che noi nemmeno possiamo sognarci.
Marco Sartore
Riferimenti bibliografici
1. “Neutrinos in Physics and Astrophysics”, Chung Wook Kim. Routledge, (1993). ISBN 978-3-7186-0566-8
2. "Visible emission of clean liquids by action of γ radiation", Cherenkov, P. A. (1934). Doklady Akademii Nauk SSSR.
3. “Observation of an ultra-high-energy cosmic neutrino with KM3NeT”, Aiello et al., Nature, Vol 638, 376 (2025). https://doi.org/10.1038/s41586-024-08543-1