COME STAI? Lo chiediamo ogni giorno. Una domanda naturale ma profonda, che manifesta premura nei confronti delle persone che incontriamo.
COME STAI? Possiamo chiederlo anche in maniera sbrigativa, per salutare una persona della quale magari non c'interessi molto. "Bene grazie" è spesso la risposta automatica che riceviamo.
A nessuno dei feriti di Macerata si chiede però "come stai?". Nè in modo sincero e preoccupato, nè in modo superficiale e automatico. Silenzio. E' come se queste persone non esistessero. Come se non si dovessero vedere. Fantasmi. Di queste persone si conoscono a malapena i nomi. Senza contare che solo un esponente politico si è presentato in ospedale per far loro visita. A noi non interessa solo chi sia il colpevole e
perchè abbia agito così. A noi interessa soprattutto sapere come stanno queste persone.
Quanto avvenuto a Macerata ha fatto accendere il solito scontro tra tifoserie. Com'era prevedibile è nata una babele di critiche, di scontri falsamente political correct. A chiedere notizie sulla salute dei feriti sono però in pochi. Come mai a nessuno interessa?
La cosa ci sorprende.
Un filo comune Violenza sulle donne e razzismo sono legati da un filo comune. I meccanismi che stanno alla base di questi fenomeni sono infatti gli stessi. Le scintille d'odio sono in grado di diffondersi quasi in tempo reale e riescono a incendiare l'animo di persone deboli: scintille che trovano terreno fertile in una società con poca consapevolezza. I valori alti e condivisibili necessitano invece di lunghi processi
d'affermazione. Per arginare una cultura sempre più becera e superficiale serve infatti consapevolezza e equità.
Un lungo cammino Il contrasto alla violenza sulle donne è frutto di un lungo processo culturale: la comparsa sul palco del festival di Sanremo di fiori in onore alla difesa di queste è solo una rappresentazione mass-mediatica di questo processo. Tutti oggi siamo consapevoli che questo tipo di violenza è orribile, sbagliata e indegna. Dal subire l'autorità dei padri e quella dei coniugi (delitto d'onore) siamo però riuscite a giungere all'autodeterminazione e alla questione di genere. Oggi sappiamo bene che chi violenta non è malato: è solo il frutto di una società che non ha svolto il proprio compito educante e di cura.
Consapevolezza Il processo di liberazione delle donne è stato raggiunto grazie a percorsi non violenti. Un lungo cammino fatto di cultura, intelligenza, sensibilità, pressione e presenza. A tracciar la strada sono state donne che si sono messe in gioco, a tutti i livelli. Questo non significa che i delitti e le violenze siano cessate bensì che sono stati messi in campo strumenti di corretta percezione, inclusione e crescita. Equi, civili e condivisi. La società ha preso insomma consapevolezza.
Un percorso simile per contrastare il razzismo. Riflettiamoci ora, non ripetiamo gli stessi errori. Mettiamo l’anima alle parole, diamo loro senso. Il razzismo è violenza.
Ogni forma di violenza passa dall'odio e dall'ignoranza. Impariamo dal processo di liberazione delle donne che non è mai passato attraverso processi violenti: esso ne è invece la negazione.
COME STAI? Una piccola domanda capace di chiudere le bocche agli strimpellatori indecenti fautori di odio ed esclusione.
Coordinamento Donne CGIL Livorno