La campagna elettorale non migliora con il passare dei giorni. Né in qualità né in prospettive. Mai abbiamo conosciuto una così deprimente qualità di dibattito e di proposta politica. Ma, paradossalmente, viene da dire ogni giorno di più che questa volta è indispensabile andare a votare. Perché la cosa più rischiosa è che chi risulterà vincitore di questa insignificante contesa, cioè chi prenderà più voti degli altri, possa ottenere percentuali tali da accreditarlo come “eletto dal popolo”; e francamente il popolo non merita un tale affronto.
Chi vota per qualcuno che sente come proprio rappresentante, è contento così. Ma chi non vota, si sa, non conta e non viene contato. E allora votare, magari senza convinzione, per qualche partito minore, o anche votare scheda bianca, se non altro abbassa la percentuale dei partiti maggiori; e nella situazione presente pare un risultato comunque apprezzabile. Già ci sarà sempre chi dirà d’aver vinto e stravinto, ma almeno che non possa sbandierare numeri che gli diano credito.
Perché siamo messi così. Ancora una volta vince la logica del “male minore” che, come ricordava Hannah Arendt, è e resta un male. E molti elettori andranno alle urne tappandosi naso, occhi, bocca, orecchi e quant’altro fantasia e fisiologia gli suggeriscano. Bisognerebbe essere la dea Kalì.
La scelta è per lo più fra proposte miserabili. Per il cosiddetto Centro-Destra dalle quattro gambe, Berlusconi con il suo partito (appoggiato alla Quarta Gamba) è bello fermo sul programma inattuato del 1994; ma ha il suo bel consenso e non glielo leva nessuno. L’impossibilità del Leader di candidarsi e di essere eletto rende solo meno frizzante l’emozione di voltare per il partito, ma non scalfisce la fede dei seguaci, perché –come si sa- la fede “è sostanza di cose sperate et argomento delle non parventi” (Dante e san Paolo perdoneranno per l’accostamento).
Salvini sembra che parli di qualcosa, perché ripete sempre le stesse cose, tentando così di dar loro sostanza; ma non dice nulla che possa configurare un programma di governo. Una volta rimandati a casa tutti i migranti –che è un provvedimento solo-; addomesticati gli europei della UE –più laborioso per l’attuazione, ma pur sempre un altro provvedimento solo-; abolita la Legge Fornero (che non è uno scherzo) e stabilita la Flat tax, tutto il resto è rinviato al momento magico in cui il Segretario della Lega sarà Presidente del Consiglio e “governerà”. E’ verosimile che gran parte del tempo dovrà dedicarla a far tornare i conti. Non tanto per quietare l’“Europa”, che l’abbiamo già sistemata nel frattempo; quanto per trovare i soldi degli stipendi dell’apparato dello Stato, in attesa di abolirlo –ma qui ci vuole un po’ di più-.
La brava Giorgia Meloni con i suoi Fratelli d’Italia, a parte il laborioso restauro del sentimento patriottico, non presenta elementi di originalità particolare rispetto ai suoi camerati di strada, e quindi quasi nulla. Del resto anch’ella si propone di diventare Presidente del Consiglio, e quindi deciderà il da farsi al momento e di momento in momento.
I nuovissimi 5 Stelle – che ormai non sono più neanche tanto nuovi- insistono coi loro cavalli di battaglia ormai datati: ONESTA’ (che per definizione non può essere punto programmatico di governo, essendo una virtù individuale, a quanto pare neanche tanto facile da praticare -e tanto meno da pretendere- neppure all’interno del loro gruppo); DIMEZZAMENTO DEGLI EMOLUMENTI DEI PARLAMENTARI e CANCELLAZIONE DEI VITALIZI (che si sbriga alla svelta: si fa con una leggina, e non può essere un impegno di legislatura). Il SALARIO DI CITTADINANZA è l’unico punto programmatico rilevante, anche per l’incidenza nel complesso sistema dell’economia di mercato, e visto che coinvolge diversi aspetti della vita economica della Nazione. Di altro non s’è sentito cenno se non assai marginalmente. Sanità, scuola, ordine pubblico, forze armate, politica estera, politiche comunitarie, politica economica, rapporti con gli Enti Locali, politiche del Territorio e dell’ambiente, politiche del lavoro, e via discorrendo: nulla di nulla.
E anche per il PD è un po’ lo stesso: la grande idea elettorale del Segretario è l’indicazione di cento piccoli passi, cento provvedimenti che, per il solo fatto di essere –anche graficamente, sul manifesto- messi in corrispondenza con i cento punti già realizzati nei gloriosi Governi di Centro-Sinistra, appaiono più una minaccia sconvolgente che una prospettiva. Il Grande Innovatore non innova più nulla: “piccoli passi”, senza arrischiarsi a delineare un progetto di insieme, senza avventurarsi in una “narrazione” (gli piaceva tanto questa parola) compiuta del futuro possibile di un popolo, di una società, di una “civiltà” come la nostra. Il Vero Rottamatore ha rottamato il passato e insieme il futuro, spezzettando l’idea di governo in una frammentazione infinita di provvedimentini. Ci sarebbe da dire: “Meno male”, visto che quando ha affrontato i sistemi –Lavoro (Jobs Act) e Scuola (la Buona Scuola)- ha fatto disastri, assorbendo maldestramente la filosofia neoliberista e raccontandola con il fascinoso linguaggio della new tecnology che permette di nascondere dietro parole di solito poco significanti uno spaventoso vuoto concettuale.
Il Partito Democratico ha il vantaggio di avere ancora una pluralità di anime e di voci; e quella del Segretario, se non vince più, è destinata a essere surrogata abbastanza alla svelta. Per questo la sua sconfitta personale sarebbe una manna per il Partito e per la Nazione. Intendiamoci: non perché Matteo Renzi sia il babau, o abbia connotazioni solo negative; è giovane e ricco di iniziativa, e molti lo considerano ancora una risorsa. Ma certo deve prima imparare a tacere e a studiare: deve farsi una cultura “politica”, per controbilanciare la nativa cultura individuale e individualistica. E così acquisire capacità strategica.
Le formazioni “minori” di Destra sono incubi del passato che prendono pericolosamente corpo per l’incapacità di contrasto –culturale, innanzitutto- di chi non vuole scomodare nessuno (e perdere possibili voti).
Le formazioni minori della Sinistra socialista e radicale –a partire da “Liberi e Uguali”- con la loro più o meno flebile voce mantengono vivo il senso politico della partecipazione alle elezioni, e in questo possono apparire una preziosa risorsa nella presente situazione: hanno un loro contenuto seguito di affezionati aderenti, ma potrebbero ora assolvere anche alla funzione di accogliere i voti di chi non se la sente di votare per i partiti maggiori; con l’esito di mantenere in vita l’idea di Politica e di pluralità ( e abbassare le percentuali degli altri). Un voto utile, dunque, per non abbandonarsi al non voto.
Poi tra qualche mese si torna a votare: come diceva quella, “Domani è un altro giorno” e si vedrà.
Luigi Totaro