Si insedia oggi il nuovo Parlamento. Nessuno ancora sa cosa succederà per il governo del nostro Paese, ma anche su ciò che è successo con le ultime elezioni le idee paiono assai confuse. Certo M5S e Lega hanno ricevuto moltissimi voti, come è certo che PD e LEU –da una parte- e Forza Italia –dall’altra- ne hanno persi altrettanti; ed è anche evidente che nessuna aggregazione o forza politica ha una maggioranza autosufficiente: il che rimette in gioco –oltre la sua volontà, forse- il PD come ago della bilancia. Questo sul piano dell’aritmetica parlamentare.
Ma, dopo un terremoto (atteso per la verità) come quello verificatosi il 4 marzo, non mi sembra questo il problema più rilevante. E’sicuro che un governo prima o poi ci sarà, ma è sicurissimo che la Sinistra ne sarà fuori, almeno come progetto politico.
Non è una cosa da poco. Anche perché, quanto a progetto politico, il M5S è assai evanescente (Di Maio è tornato fuori con la stupidaggine dei vitalizi dei parlamentari), e l’unico punto concreto, il Reddito di cittadinanza, sbuca al di fuori da una qualsiasi analisi di sistema e si presenta come una toppa improvvisata al problema gigantesco della redistribuzione del reddito, di cui trascura le cause. E Salvini, oltre gli slogan urlati con successo in tutte le piazze e capaci di intercettare l’evidente malessere del Paese, di prospettive a lungo o anche a medio termine ne ha fatte intravedere poche.
Però che la Sinistra si trovi spaesata e senza idee, questo è grave, perché ha una storia lunga alle spalle fatta di idee e di lotte (anche vinte) in nome della giustizia sociale, dell’uguaglianza, della libertà, della dignità dei cittadini e delle Istituzioni. E se la sconfitta elettorale le impone di ricominciare, non deve certo ricominciare da zero. Anzi. Un primo dato emergente dall’analisi del voto è proprio che la crisi è cominciata nel momento in cui l’orizzonte ideale e progettuale del partito -che faceva riferimento ai lavoratori (occupati o disoccupati) e a cui questi facevano riferimento- è diventato nebuloso, ha perduto i tratti identificativi, si è confuso in volontà di protagonismo compromissorio in nome di una modernità tutta ideologica (la “Terza via” e il Blairismo) che considerava marginali (e comunque ha emarginato) le fasce più povere della società, spingendole progressivamente verso una sorta di disperazione aperta al canto delle demagogie “populiste” –che appunto è canto e non politica-. Le “magnifiche sorti e progressive” sono divenute un totem incantatore, senza considerare cosa concretamente comportavano globalizzazione, rivoluzione tecnologica, deindustrializzazione, finanziarizzazione dell’economia.
Eppure, negli ultimi trenta, venti, dieci anni, la ricchezza globale si è distribuita in modo ancor più diseguale: l’1% della popolazione più ricca del mondo è arrivata a possedere l’82% della ricchezza prodotta in un anno (rapporto OXFAM, gennaio 2018). In Italia il 90% della popolazione possiede il 45% della ricchezza nazionale -vent’anni fa era il 60%-; e nello stesso periodo l’1% degli Italiani ha visto crescere la sua quota parte del tesoro privato complessivo di ben cinque punti, dal 15 al 20% -e la quota della parte restante della popolazione diminuiva corrispondentemente-. Si parla della vita della gente, del modo di vivere delle famiglie e dei singoli, delle prospettive dei giovani, del lavoro sempre più difficile a trovarsi e sempre meno retribuito, sempre più insicuro. E poi il patrimonio privato della fascia più bassa della popolazione è costituito prevalentemente dal possesso della casa d’abitazione: è immobilizzato, non produce reddito.
E a fronte di un risparmio privato (e di un patrimonio privato) che cresce vertiginosamente, lo Stato, specie nella crisi, diventa il debitore per tutti: salva i privati (in particolare le banche), sostiene i disoccupati, prende a prestito dai ricchi, che per di più evadono le tasse, -naturalmente perché “sono esose”-, e vede ampliarsi così il proprio fabbisogno e trova sempre maggiori difficoltà a pagare pensioni, sanità, scuola e ricerca, e a intervenire nella tutela dei beni pubblici.
Sono cose note. Come è noto che la responsabilità del governare comporta la necessità di continue mediazioni all’interno della realtà nazionale e più ancora internazionale, ed è evidente che questa mediazione ha logorato il principale partito di governo, il PD, e il voto del 4 marzo ne è stata la conseguenza.
Ora che non ci sono più remore di mediazione politica, forse è tornato il momento in cui la Sinistra può essere di nuovo (o finalmente) la forza politica che assume la rappresentanza della fascia dei lavoratori e dei poveri della popolazione, disegnando prospettive politiche e progetti concreti di intervento che partano dall’analisi del disagio reale che i risultati elettorali hanno messo in evidenza. E’ necessario un riequilibrio della distribuzione del reddito attraverso il recupero della ricchezza trasferita negli ultimi decenni dal Pubblico al Privato, attraverso una rigorosa azione del prelievo fiscale che faccia recuperare allo Stato una capacità di spesa significativa con un adeguato e progressivo prelievo fiscale patrimoniale. Si deve dar vita a un progetto di investimenti pubblici sugli assetti del territorio e sui beni dello Stato, creando al tempo stesso occasioni di lavoro stabile. Si deve intervenire a rifinanziare il sistema sanitario della Nazione, e contemporaneamente potenziare l’istruzione e la ricerca scientifica che costituiscono la condizione necessaria per l’occupazione e lo sviluppo dell’economia. Si deve riprogettare e rinegoziare la partecipazione alle istituzioni sovranazionali, elaborando politiche di giustizia distributiva che riequilibrino i rapporti economici al loro interno. Si deve elaborare un piano di solidarietà mondiale che non si limiti all’accoglienza degli sventurati costretti a lasciare i luoghi di origine, ma modifichi la realtà economica di quei luoghi eliminando le cause dell’impoverimento e del disagio che progressivamente li caratterizzano. Ricordando che la disponibilità verso gli altri si nutre della serenità di chi deve accogliere, si radica nella sicurezza di chi ospita, riposa davanti a orizzonti ampi e proiettati in un futuro concreto e comprensibile.
E’ un libro di sogni? Forse, ma almeno riprende un sogno antico e a lungo condiviso con tanti uomini e donne generosi e combattivi; forse meno inconsistente delle promesse-tampone fondate sul bisogno e sulla paura (entrambi reali, certo, ma che invitano a difendersi e non a progredire). Turberà i pochi moderati benpensanti rimasti? Pazienza.
Se la Sinistra riuscirà a parlare ai cittadini con parole chiare, andando a cercarli casa per casa e spiegando il proprio progetto di rinascita, allora la sua presenza nella vita politica e civile avrà ancora senso.
Se non ora, quando?
Luigi Totaro