“Mortoferraio, sì, voglio iniziare proprio da qui”. Si tratta di una figura retorica che si chiama “paronomasia”. Nello specifico si tratta di una “deformazione paronimica satirica”. In questo modo un anonimo volgare chiamò vezzeggiandola la storica città di Portoferraio, sostiduendone una lettera con un'altra.
Premetto che non sono ferrajese, e che non posso e non voglio entrare nei dati di fatto singolari di questa o quella amministrazione comunale, vicina o lontana, presente o passata. Osservo dall'alto dei miei 350 metri sopra il livello del mare – Tirreno. Con gli occhi da Tirreno, e l'anima fossile, troppo antica ormai, più di un reperto di Valerio Corvino. Quello che si vede da qui non è per nulla morto. Da qui, anzi, vedo il traffico, il tran tran, il complesso non-luogo del porto di un'isola col suo meraviglioso va' e vieni. Vedo la geometria complessa di una città sacra che nella più vecchia storia dell'occidente è – non malvagia, ma – rifugio degli eroi.
Qui, probabilmente, se non in qualche altra baia di ghiaie dell'isola d'Elba, gli Argonauti trovarono riparo, qui, stremati poterono riposarsi, sudati detergersi i corpi, trovare ristoro dopo mille peripezie. Ecco, forse proprio il fatto che questa nostra storia la veda io da quassù ma pochi tra quelli che in questa città vivono immersi, è sintomatico di quanto questa sia stata dimenticata. Quantomeno, non ricordata come si deve da chi dovrebbe averne scienza come un albero ne ha delle proprie radici.
Hanno ragione quindi i ferrajesi nell'avere torto – di destra o di sinistra che siano – quando sostengono o sostenevano l'emergenza di questo fenomeno smemonico. Pur scambiando l'oblio con la morte, - forse solo per l'esigenza parechetica che richiede la parola porto per trasformarsi in morto, - essi hanno la virtù di aver coscienza che le cose non stanno come dovrebbero stare. Se solo capissero che quel “Morto” che antepongono a “Ferraio” è il segno che indica la distanza da se stessi. La distanza del qui ed ora dal qui dimenticato, “luogo dei luoghi”, loro origine.
No, non è un nostalgico romanticismo che muove il mio ragionamento, ma una progettazione per un avvenire migliore. Rispolverare le nostre origini serve a renderci più saggi, come persone, e più ricchi come cittadini. La soluzione è una sola: strutturare una narrazione di 'quello che siamo' attraverso il racconto del 'da dove veniamo'. Tradotto, significa riprogettare i fondamenti strategici delle nostre politiche amministrative mettendo al centro di tutto la valorizzazione del nostro patrimonio culturale.
Il primo evento di uomini che l'occidente abbia mai saputo raccontare a se stesso dopo tante teogonie. Il lungo viaggio degli Argonauti, i “nonni” di quegli stessi eroi che combatterono la grande ed epica Guerra di Troia trentadue o trentatre secoli or sono. Questo segna il fondamento del progetto di risveglio della memoria perduta, unico punto di partenza possibile per una nuova ed autentica coscienza civica, qualità irrinunciabile di chiunque voglia ridare vita a ciò che sembra definitivamente morto.
Valorizzare, valorizzare e valorizzare. Ogni singola pietra che abbia più di qualche secolo. Ogni singola storia antica che anche solo accenni a noi, all'Elba, Ilva, Aethalia; a Portoferraio, Fabricia, Portus Argus, limèn Argòos. Questa è la sola vera promozione turistica. Qui andrebbero spesi tutti i soldi delle tasse di sbarco. Lancio un'idea per cominciare, scriviamo su tutti i cartelli stradali sotto al nome moderno di "PORTOFERRAIO" il suo nome greco
ενθα λιμην Αργωος.
Angelo Mazzei