Ormai siamo alle porte coi sassi, come si dice: meno di un mese e si va a votare per le elezioni più inutili della storia repubblicana. In campagna elettorale si sentono tanti discorsi, ma resta il dubbio che di realtà si parli poco, almeno della realtà ineluttabile che abbiamo dichiarato sospesa fino al 25 febbraio, ma che ci si ripresenterà pari pari il 26. Non ci sono soldi per andare avanti. E non solo per la grandissima parte delle famiglie italiane, che conoscono questa condizione ormai da mesi se non da anni; ma proprio per lo Stato, per la nostra società. Con buona pace del Ministro dell’Economia e del Presidente del Consiglio, siamo più o meno dove ci ha lasciato Berlusconi con Tremonti a fine 2011: impiccati al pareggio di Bilancio (divenuto norma costituzionale), e all’impegno di rientro dal clamoroso nostro debito pubblico; impiccati alla mancanza di lavoro e di prospettive di crearne; impiccati al dilemma tra rigore contabile e sviluppo, che poi significa solo rigore contabile senza sviluppo.
Non so se Monti abbia sbagliato qualcosa. Forse ha solo svolto una pia opera di accanimento terapeutico di un sistema destinato a morire: come in Grecia, come in Portogallo, Spagna, Irlanda; e come presto sarà in Francia, e poi in Germania, Olanda, Svezia, Norvegia e via dicendo. Ogni Paese ha problemi diversi, ma tutti hanno IL problema di appartenere a un universo economico –quello dell’economia di mercato- che è moribondo e incurabile. Lo sappiamo da decenni, e i più avvertiti da oltre un secolo. Ma abbiamo continuato a pensare che mettendoci qualche pezza si potesse tirare avanti ancora un po’. Eppure i sintomi, progressivamente negli ultimi trent’anni, erano sempre più chiari e sempre più gravi. Ma i rimedi non hanno progredito di un briciolo. E quando è montata l’infezione, la cura è intervenuta pompando soldi laddove si trovava il focolaio –le banche-, e lasciando esaurirsi le ultime energie ancora in circolo nell’universo produttivo. Abbiamo finora attraversato la crisi più brutale dell’Età Moderna senza dedicare alcuna attenzione alle sue cause profonde e alle prospettive di radicalissimo cambiamento che con assoluta evidenza essa impone. Fatte salve alcune importanti eccezioni, i “tecnici”, tutti, hanno continuato a ragionare nei termini della conservazione dell’assetto presente della società e del sistema economico esistente, cercando di rallentarne lo sprofondamento. E del resto i “tecnici” (non solo i nostri al governo) vengono tutti dalle scuole di formazione promosse da questa società, e sono in certo modo condannati alla sua conservazione. Il Governo Monti ne costituisce un significativo esempio (anche se non fra i peggiori), che tutti hanno potuto cogliere nei comportamenti individuali e collettivi dei diversi suoi membri: le continue ‘gaffe’ della professoressa Fornero e dei suoi collaboratori, dello stesso Monti, della dottoressa Cancellieri codificano l’appartenenza specifica a un ceto nativamente benestante, colto e avvertito quanto volgari e sbracate apparivano le ostentazioni del ‘parvenu’ Berlusconi, piccolo borghese stra-arricchito, quando negava l’esistenza della crisi.
Di fronte alla chiarificazione strategica operata da Monti e dai suoi “tecnici” –la loro dichiarata appartenenza alla Destra liberale e liberista- la Sinistra si è limitata ad assistere all’ultimo intervento operatorio del Presidente del Consiglio svolgendo un ruolo paramedico, senza dedicarsi neppure un minuto a vedere se non era il caso di cambiare non solo la terapia, ma anche il metodo. Mentre il Governo metteva in coma farmaceutico il corpo sociale malato, la sinistra della cosiddetta “strana maggioranza” non solo era attenta a non disturbare il conducente, ma si perdeva nei minuetti delle “rottamazioni”, delle “primarie di partito o di coalizione”, delle non preferenze o delle finte preferenze, della Casta poco casta, quasi che la cosa più importante da decidere fosse la selezione di chi avrebbe accompagnato la salma del paziente alla sua ultima dimora.
E oggi il minuetto ha nuovi danzatori nelle liste “concorrenti”, nel volteggio della partecipazione o nell’inchino della desistenza. Ma per fare cosa?
Per vincere le elezioni più inutili della storia repubblicana. Ammesso che la vittoria arrivi, il premio è la gestione dell’ingestibile, poiché nessuno si è preparato per inventare un modello nuovo di gestione. Perché nessuno si è chiesto, nell’imperversare della crisi, se davvero l’economia di mercato senza regole –o con regole modellate sugli interessi di chi controlla, incontrollato, i capitali finanziari- possa sopravvivere e farci sopravvivere allo tsunami che ci ha travolto; se davvero è meglio più mercato e meno Stato; se è stata scelta felice e opportuna quella che ha condotto all’alienazione delle grandi industrie e delle grandi Imprese (come l’ILVA, a esempio, o la Lucchini), con il rischio di vederle gestite in maniera disastrosa dai privati, e poi messe in condizione di essere “esportate”. E cosi via dicendo. Perché nessuno ha affrontato il problema, più contenuto, di una rinegoziazione totale (e dettagliata) dei trattati europei, per ridisegnare o ripristinare un progetto di Unione fondato su corresponsabilità condivise a tutti i livelli, rinunciando all’accelerazione della crescita di un Paese per una più solida e duratura e meno rischiosa crescita del Sistema-Europa. Perché nessuno ha pensato che l’unica possibilità di governare la crisi e di dominarla gradualmente passa di necessità dalla preventiva ridefinizione dei termini generali delle questioni sul tavolo –finanza (banche), sviluppo (territorio), relazioni (società nelle sue articolazioni).
Caro professor Monti, la storiella che non esistono più Destra e Sinistra l’abbiamo sentita ormai spesso –l’aveva evocata anche Gaber, ma non credo proprio nel senso che intende lei-, e anche nelle sue parole sembra tradire una vaga volontà –in buona fede, spero- di disconoscere differenze di condizioni economiche e di vita, di ‘status’ e di disponibilità di risorse vitali, per un’omologazione di aspirazioni e desideri, di bisogni, di timori, di speranze che è poco plausibile, proprio perché tutta la storia recente e meno recente quelle differenze ha accentuato e forse voluto rimarcare. Anzi, vede, la Sinistra dovrebbe darsi come compito proprio quello di elidere le differenze fra chi possiede la metà della ricchezza del Paese (10% della popolazione) e chi possiede l’altra metà (il residuo 90%), attraverso l’attuazione di prospettive politiche e di governo d’amplissimo respiro, capaci di incidere profondamente negli attuali assetti sociali dell’Italia, dell’Europa e del Globo. Quanto questo abbia a che fare coi minuetti degli ultimi mesi e degli ultimi anni lo può vedere ognuno.
Andremo alle elezioni più inutili della storia repubblicana –e credo comunque indispensabile andarci- con la realistica prospettiva di “prendere tempo”, in attesa che la consapevolezza della gravità dei problemi sul tavolo cresca presto e non traumaticamente, come probabilmente avverrebbe se vincesse la Destra montiana o peggio ancora la Compagnia di Brancaleone. Ma dopo la vittoria, se vittoria ci sarà, non sarà un “pranzo di gala”.
Luigi Totaro