Nei tempi recenti assistiamo al prevalere in larghi strati della popolazione della destra cosiddetta nazionalista, trovando consensi prevalentemente nei ceti più bassi della società, nelle periferie della grandi città, tra quelli che un tempo si potevano definire proletari. Per contro, le formazioni politiche di sinistra trovano sempre più consensi nei quartieri benestanti e nei centri storici. Le categorie sociali che un tempo avevano come punti di riferimento la sinistra e nemici giurati la borghesia, sostengono , senza remore, le facce rabbiose della destra estrema. Le analisi sociologiche del fenomeno ovviamente sono tante e molte di queste sostengono che le cause affondano nel malessere di vivere espedienti, di lavori saltuari, senza sicurezze e, perlopiù, in quartieri sporchi, soffocati da montagne di spazzatura, con servizi sociali inesistenti e con la malavita dominante. Non solo. Il progressivo venir meno delle ideologie del secolo scorso, carburante efficace dell’impegno sociale di tante organizzazioni di volontariato e di associazioni culturale, ha contribuito ad aumentare questo fenomeno di scollamento delle antiche certezze.
Leggendo un vecchio libro di W. Reich, penso che si potrebbe azzardare anche una lettura diversa del fenomeno. “Le parole proletariato e proletari sono state coniate più di 150 anni fa per indicare uno stato sociale privo di qualsiasi diritto e depauperato a livello di massa … i bisnipoti dei proletari nel XIX secolo sono diventati lavoratori dell’industria specializzati, altamente qualificati sul piano tecnico, indispensabili, responsabili e molto consapevoli. La <<coscienza di classe>> viene sostituita dalla <<coscienza professionale e responsabilità sociale>>. Nel marxismo la coscienza di classe veniva limitata ai lavoratori manuali. Ma gli altri lavoratori che svolgono ‘attività vitale e indispensabile senza la quale una società non potrebbe funzionare, veniva contrapposta a lavoratori manuali. Questa contrapposizione schematica ha contribuito notevolmente alla vittoria del fascismo in Germania. Oggi il concetto esclusivo di lavoro proletario dell’industria non esiste più. Oggi la parola lavoratore coinvolge tutti i lavoratori che svolgono un lavoro socialmente necessario alla vita, quindi non solo il lavoratore dell’industria ma anche il medico, gli insegnanti gli agricoltori, gli scrittori ecc… La sociologia marxista contrapponeva per ignoranza della psicologia di massa il borghese al proletariato. Questo è psicologicamente sbagliato. La struttura caratteriale non si limita al capitalista ma impegna i lavoratori di tutte le professioni. Cosicché vi sono capitalisti liberali e lavoratori reazionari. Non esiste <<confine di classe>> perché le classi si sono mescolate ma non del tutto spariti”.
La presenza dei migranti e l’odio razziale diventano un carburante trasversale tra le classi sociali. Cosicché, l’operaio o il disoccupato di una qualsiasi borgata romana, che vive nelle condizioni sociali di sfruttamento e di precarietà simili al migrante proveniente dall’Africa o dall’Asia si trasforma in vittima di un sistema sociale che lo esclude e allo stesso tempo carnefice, forse inconsapevole, nei confronti di chi sta anche peggio. I partiti di destra estrema come la Lega di Salvini o Fratelli d’Italia, tirano fuori dall’animo umano la parte caratteriale più egoista, le pulsioni animali peggiori per affermare il proprio dominio.
Dice Reich: “l’hitlerismo non è relegabile entro i limiti del partito nazista o entro i confini tedeschi; esso compenetra le organizzazioni operaie degli ambienti liberali e democratici. Il fascismo non è un partito politico ma una concezione della vita e un atteggiamento nei confronti dell’uomo, dell’amore e del lavoro”.
La Destra va combattuta proponendo una rivolta delle coscienze, tirando fuori il meglio dell’animo umano.
Concludo prendendo a prestito una frase di Erich Fromm: “uno spettro si aggira tra noi ma solo pochi lo vedono con chiarezza”.
Salvatore Insalaco