Domenica si vota per rinnovare il Parlamento europeo. Non è un evento banale -le elezioni non lo sono mai-, e soprattutto non lo è oggi, quando la devastante crisi economica degli ultimi anni mette a rischio un progetto -l’Unione Europea- che ha certo necessità di essere aggiornato, corretto e potenziato, ma che è vitale per il futuro di tutti.
Cent’anni sono trascorsi da quando -finita la Prima guerra mondiale, con oltre 15 milioni di morti fra militari e civili, e innumerevoli feriti- nasceva la Società delle Nazioni, proprio per allontanare il pericolo del ripetersi di simili, immani tragedie: l’iniziativa fu allora (1919) del presidente degli USA Woodrow Wilson, che per questo suo impegno ricevette anche il Nobel per la pace; ma poi il Congresso decise di non aderirvi, sposando la tesi dell’isolamento che oggi forse chiameremmo ‘sovranismo’. Così la SDN scioltasi nel 1946 dopo la creazione dell’ONU (1945), nel periodo di attività non riportò grandi risultati e, soprattutto, non riuscì a evitare la catastrofe della Seconda guerra mondiale, che di morti ne vide 55 milioni, il 60% dei quali furono civili. Anche l’ONU aveva, e ha, lo scopo di evitare l’accendersi di conflitti: e se di fatto ha stornato il pericolo di una Terza guerra mondiale dichiarata e combattuta a livello planetario, ha “lasciato” che si accendessero e che si consumino ancora oggi decine di conflitti “minori” -una guerra mondiale strisciante, si è detto- ancora con morti, mutilazioni, atrocità, distruzioni.
Il limite della SDN è stato forse quello di costituire una ‘fuga in avanti’ in un momento -le trattative di Versailles per la pace- in cui la voce dei nazionalismi aveva ancora toni altissimi, e i desideri di rivincita da parte degli sconfitti non promettevano nulla di pacifico; e la non adesione degli USA e gli interessi coloniali e imperialistici di altri prestigiosi e potenti appartenenti rischiavano di essere -e furono- di gran lunga prevalenti sui progetti di pace universale: e nel giro di un decennio sorsero, nell’Italia degli insoddisfatti irredentisti il Fascismo; nella Germania degli sconfitti il Nazismo; nella Russia della grande speranza rivoluzionaria lo Stalinismo. All’origine di ciascuno di loro condizioni e storie diverse e non assimilabili, ma un tratto comune: il richiamo alla forza militare e, almeno in due casi, un poderoso impegno verso una forza armata. La possibilità di vedere esercitate mediazioni internazionali in queste condizioni, soprattutto da un consesso praticamente inerme, erano nulle. Restava l’idea di affidare la pace all’insieme delle nazioni e dei popoli.
Ma la via delle Utopie non conosce ostacoli, per buona ventura di tutti. In un momento impossibile (1941), in un luogo impossibile (il confino di Ventotene decretato dal Fascismo) un gruppetto di intellettuali concepiva un disegno arditissimo, presto illustrato in un Manifesto, destinato a divenire concretezza dopo quindici anni (1957): il “Manifesto per un’Europa libera e unita”, redatto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni. L’idea -già apparsa a metà degli anni Venti, con la fondazione della Società Paneuropea-era di creare una entità sovranazionale di Stati che si riconoscessero in tratti di storia e di origine culturale comune, capace di concepire politiche comuni sia sul piano della vita civile, sia nell’ambito economico, sia nei rapporti internazionali, in una progressione di coesione sempre più vasta e marcata. A Ventotene, in piena Seconda guerra mondiale, in pieno Fascismo, in pieno Nazismo, alcuni coraggiosi osavano pensare alla pace possibile, da realizzarsi attraverso il superamento dei nazionalismi e dei sovranismi, in nome di una patria comune più ampia.
Una Utopia. Cioè un progetto che fino a che non si realizza compiutamente resta un Non-luogo, e che per divenire realtà ha bisogno di continue rivoluzioni per arginare i tentativi fisiologici di conservazione.
La storia è continua ricerca di equilibri; e quando si verificano accelerazioni troppo brusche, occorre tempo per tornare a una condizione stabile, mai garantita per sempre. Ma sembra di poter dire che, come nella statica dei corpi, quanto più la base è larga, tanto più facile è mantenere l’equilibrio. Nella bufera della “Guerra fredda” -quando USA e Unione Sovietica conducevano la loro battaglia per la supremazia, con il supporto dei rispettivi alleati, bruciando immense risorse economiche in un conflitto che non poteva avere esiti se non disastrosi- un gruppo di studiosi americani pensò di utilizzare per scopi scientifici (e pacifici) un’arma potentissima dismessa dall’esercito USA: un sistema di comunicazioni strutturalmente paritarie, che permetteva di interagire in modo non gerarchico: si trattava del sistema che poi sarebbe divenuto Internet. Il ragionamento era che, stante il valore primario dello scambio di informazioni, quanto maggiore era la possibilità di diffonderle tanto minore era la forza di condizionamento dei singoli -persone o Stati che fossero-. Anche questo sembrava un’utopia, e si è visto che non lo era: ma c’è voluta una rivoluzione culturale per realizzare quel progetto in modo efficace, e ora siamo a cercare affannosamente i correttivi che impediscano di nuocerci, o distruggerci. Ma la strada è stata quella di allargare la base.
Per questo credo sia indispensabile andare a votare per il rinnovo del Parlamento europeo. Per evitare che la miopia sovranista restringa il campo delle visioni, e riconduca tutto ai miseri orizzonti dell’orto di casa.
Certo, per alcuni -e io fra quelli- ci sarà da turarsi naso, orecchie e gola; e il pensiero di aver quella tale o quel tale per rappresentante della propria volontà di cittadino può apparire insostenibile. Ma mi pare un debito nei confronti di chi, in condizioni certo più disperate e disperanti, a Ventotene ha immaginato con grande lungimiranza di poter costruire un futuro migliore.
Luigi Totaro
Domenica si vota anche per alcuni Comuni Elbani. Tra che ci siamo, con naso, orecchie e gola tappati si voterà anche lì. Di fronte a una crisi che temo all’Elba debba ancora arrivare, i programmi che ho visto non mi paiono di lungo corso -somigliano assai di più alla rotta del Chicchero-. I candidati che conosco mi paiono anche persone perbene; ma di inviti a volare oltre le soglie dell’ordinaria amministrazione -o dell’ordinaria manutenzione- non ne ho sentiti. Forse quando cominceremo a veder candidati ventenni o giù di lì le cose andranno meglio. Aspettiamo, tanto siamo giovani. L. T.