I disastri ambientali con tragedie e vittime sono ormai cronaca quotidiana. Tra i territori maggiormente colpiti quelli più pregiati che le istituzioni avevano per questo sottoposto-non sempre con successo-a tutela con leggi e strumenti nazionali, regionali e locali con crescenti raccordi comunitari.
In questo contesto a partire dal 1991 con l’approvazione della legge 394 sui parchi un ruolo particolare l’hanno svolto parchi nazionali e regionali e le altre aree protette mai però su un piano di pari dignità.
Non si può dimenticare che il testo della legge quando giunse finalmente in Parlamento per l’approvazione le regioni e perciò anche i loro parchi non erano previste. Fu Scalfaro nel messaggio alla prima conferenza nazionale dei parchi a dire che le regioni andavano ringraziate per avere anticipato e aiutato lo Stato. All’insegna di questa collaborazione l’associazione dei parchi –prima Coordinamento regionale poi Federparchi- svolse allora un ruolo molto importante sul piano delle proposte come si può verificare dalla sua rivista Parchi e dagli atti e documenti dei molti convegni dei sui centri studi spariti. Ma merita di essere ricordato sul piano istituzionale in particolare l’impegno delle province che da uffici ministeriali avviarono una gestione autonoma di competenze programmatorie. Ne so qualcosa perché allora come vice direttore della rivista dell’UPI e rappresentante del Pci nell’ associazione ebbi modo di partecipare a molte e importanti iniziative.
E qui vale pena di fare una prima osservazione critica su quanto emerge dal dibattito in corso. In questi giorni su alcune riviste sono stati pubblicati interessanti servizi su situazioni a rischio in importanti territori della Liguria e in altre regioni.
Ebbene quando ci si riferisce a incontri e accordi per l’area protetta sono in ballo ministero, regione, comune o comuni, associazioni ambientaliste o di categoria come agricoltori o pescatori, mai la provincia.
E’ la conferma che dopo la legge Delrio delle province e del loro ruolo resta ben poco.
Tanto poco che anche competenze amministrative sono finite in regione. Avendo rappresentato la mia provincia per alcuni anni come vice presidente del parco di San Rossore non fatico a capire il danno di questa assenza.
Ma l’assenza è ben più grave e continua anche nel momento in cui si torna a parlare di riforme istituzionali che per qualcuno presentano il rischio che anche sui parchi siano le regioni a passare al comando. La denuncia non sta né in cielo né in terra perché la crisi che è alla base della mancanza di una politica nazionale dei parchi parte da Roma dal ministero, governo e pure parlamento. Con la Prestigiacomo i parchi furono scaricati dallo stato per il finanziamento; lo cercassero tra i privati che ovviamente nel territorio del parco avrebbero voluto fare interventi ossia affari in barba alla ecosostenibilità. Si cercò infatti di cambiare anche la legge 394 con il pretesto del suo invecchiamento; per fortuna il testo contro cui si batterono gli ambientalisti ma non i gruppi parlamentari non tagliò il traguardo.
Da allora governo e ministero ma anche i gruppi parlamentari e pure la rappresentanza dei parchi dimentica del suo passato che abbiamo ricordato nel libro dedicato a Bino Li Calsi sembra abbiano altro da fare. Salvo ripetere ogni tanto che negli enti sarebbe bene avere anche un rappresentante degli agricoltori o dei pescatori. Che poi ci siano parchi nazionali anche da anni senza presidente, direttore, e non parliamo di piani a chi vuoi che dia fastidio.
E’ la politica che manca, quella vera non delle manfrine e da quella bisogna ripartire.
Renzo Moschini