Il dibattito sul comune unico assume spesso toni tribali ed assolutamente non degni della serietà che si deve ad un tema così delicato e soprattutto ben lontani da quella reale presa di coscienza indispensabile per qualunque tentativo di dare “ricette” per il futuro.
Se solo chi interviene con veemenza nel dibattito si ponesse il dubbio di essere, per parte sua, corresponsabile dello stato di cose che affligge l’Elba su più fronti, forse sarebbe possibile comprendere che il problema della mancanza di una voce unitaria – principale rivendicazione del comitato del sì – nasce proprio dalla irrefrenabile tendenza a ricercare lo scontro anziché andare al cuore dei problemi.
Divisioni e contrapposizioni appaiono l’inevitabile copione di chi non ha una reale visione dei problemi né tanto meno delle soluzioni e proprio per questo stenta ad abbandonare il porto sicuro di una vecchia politica incapace di cambiare o – continuando la metafora – di affrontare il mare.
Questo teatrino di offese e richiami all’autarchia rischia peraltro – a prescindere dalla scelta sul futuro istituzionale dell’isola – di essere la nostra tomba: guai a tradurre il nostro senso di appartenenza a questa terra in un ostacolo al confronto, alla ricerca di qualità, ai percorsi di professionalizzazione di chi ha ancora voglia di dare qualcosa al futuro di questa isola e scommette sulla sua competitività.
Onorare le nostre radici significa saper superare i nostri limiti e far sì che le nostre potenzialità divengano la realtà che meritano di essere.
Paola Mancuso