“Passata è la tempesta:/ Odo augelli far festa, e la gallina,/ Tornata in su la via,/Che ripete il suo verso./ Ecco il sereno/ Rompe là da ponente, alla montagna;/Sgombrasi la campagna,/E chiaro nella valle il fiume appare…”. Così Giacomo Leopardi commentava, già nel 1831, le elezioni regionali in Emilia Romagna del 26 gennaio 2020, con la capacità profetica che solo i poeti sanno esprimere.
Proprio così. Stamani, nella prima ora del nuovo giorno, abbiamo appreso con sollievo che nel nostro caotico mondo politico le cose stavano tornando al loro posto. E, necessariamente, con un evento traumatico.
Infatti, nelle elezioni di ieri hanno perso tutte le compagini politiche: hanno perso quasi definitivamente i 5Stelle; ha perso sonoramente la Lega di Salvini, perché da noi chi perde una volta perde per sempre; ha perso fino alla scomparsa totale Forza Italia di Berlusconi; ha perso nascostamente il PD, che si è dovuto mimetizzare per poter portare il suo contributo (significativo) all’unico vincitore della contesa, il presidente eletto Bonaccini. Che ha vinto per quello che aveva fatto in cinque anni, non per quel che aveva detto o promesso; e che ha evitato di avere d’intorno tutte le “mosche cocchiere” della sua parte politica. Giorgia Meloni ha preso i suoi voti, ormai tutti i suoi voti: è una forza di bandiera, ininfluente sul piano delle idee e delle politiche.
Poi ci sono le Sardine. Facce nuove, finalmente; ed è questo che le rende oggetto di consenso e di speranze. Dicono cose sensate in modo garbato, senza “ripetere il verso”. Hanno fatto una dichiarazione sapiente: ‘ora non abbiamo più nulla da fare, e non si può andare ogni giorno in piazza perché ci viene bene; lasciate che pensiamo al senso del nostro impegno, e vi faremo sapere’. Se il PD lo capisse potrebbe ripartire da qui. Ma è vecchio, e come tutti i vecchi -lo dico per esperienza- gli resta difficile cedere il testimone.
Il testimone: in una staffetta lunga e nobile (spesso sconosciuta e talvolta disconosciuta), che ha segnato un secolo di lotte dure per portare il paese verso la modernità e un equilibrato benessere. Un testimone che negli ultimi trent’anni, almeno, è divenuto sempre più un bastoncino di legno da passare di generazione in generazione, senza rammentare più la storia che quel simbolo conteneva. Le idee che quel simbolo animava. Lo ha ricordato ieri in un bellissimo e tragico articolo Luca Bottura su “Repubblica”: “Ciò che noi emiliani abbiamo già perso, e che non possiamo più perdere”, facilmente estensibile a tutta la sinistra, e soprattutto a quella dei piccoli gruppi di potere locale, dei comitati d’affari locali, delle nomenclature minime.
Come sempre, non importa ricominciare da zero: ricominciamo pure “da tre”, come Troisi. Ma da tre in poi non rifacciamo quello che si è sempre fatto.
O dovremo ancora una volta rassegnarci al destino che il poeta Leopardi ci consegnava al termine di quel bel “canto”:
“O natura cortese,/ Son questi i doni tuoi,/ Questi i diletti sono/ Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena/
E' diletto fra noi./ Pene tu spargi a larga mano; il duolo/ Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto/ Che per mostro e miracolo talvolta/ Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana/ Prole cara agli eterni! assai felice/ Se respirar ti lice/ D'alcun dolor: beata/ Se te d'ogni dolor morte risana” /“O natura cortese, questi sono i doni e i conforti che tu porgi ai mortali. Per noi il piacere è quando usciamo dalla sofferenza. E di sofferenze tu ne spargi a piene mani: il dolore nasce spontaneo; e il piacere, quel tanto che talvolta in modo strano e miracoloso nasce dall’affanno, ci appare un gran guadagno. Umana stirpe cara agli dei, assai felice se puoi respirare dopo un dolore; beata se la morte ti risana da ogni male”.
Prima di morire, facciamo qualcosa.
Luigi Totaro