Caro Direttore,
approfitto dell’ospitalità di Elbareport per alcune precisazioni delle quali sono debitore alla cortesia del dott. Fratini, prestigioso esponente del PD e storico sindaco di Portoferraio, che l’altroieri ha rivolto la sua attenzione a un mio intervento a commento delle elezioni in Emilia-Romagna.
Avevo lì affermato: “hanno perso tutte le compagini politiche: […] ha perso nascostamente il PD, che si è dovuto mimetizzare per poter portare il suo contributo (significativo) all’unico vincitore della contesa, il presidente eletto Bonaccini”, che mi pare cosa diversa da ciò che mi viene attribuito: “[non avrebbe vinto neppure] il PD che, a suo parere (il mio), avrebbe evitato di parteciparvi, lasciando solo il candidato Bonaccini”.
Eviterei, mettendomi nei panni del PD, di insistere a definire vittoria il risultato del 35% di voti raggiunto, e a rivendicare il titolo di primo partito della regione, considerando che alle precedenti elezioni aveva avuto il 49% dei consensi, con un distacco di 20 punti sul secondo partito votato (Lega), oggi ridotto a circa 3 punti (ovviamente trascurando le liste collegate dall’una e dall’altra parte). E non scomoderei il prof. Romano Prodi -che tenderei a scomodare il meno che possibile, del resto- per sottolineare che il PD ha fornito al Presidente Bonaccini“l’appoggio INCONDIZIONATO del partito”: ci sarebbe mancato altro, considerando che si trattava di questione di vita o di morte.
Quello che mi pareva importante suggerire come tema di riflessione era piuttosto il problema del rinnovamento; ma anche su questo punto temo di non essere riuscito ad essere chiaro. Per me non si tratta di fermarsi a considerare “che il Partito democratico, come tutti i partiti della sinistra in Italia e in Europa, sta attraversando un periodo difficile. Non riesce da tempo a sintonizzarsi con le vere necessità del Paese, logorato da divisioni interne e indebolito da sciagurate scissioni, inestirpabile vizio storico della Sinistra” (Elly Schlein, che pure ha appoggiato Bonaccini portandogli quasi il 4% dei voti, con anche 22000 preferenze personali, è una “scissa” dal PD tutt’altro che sciagurata, mi pare). Quelli indicati dal dottor Fratini sono i sintomi, non la patologia.
Non per nulla facevo riferimento a “una staffetta lunga e nobile (spesso sconosciuta e talvolta disconosciuta), che ha segnato un secolo di lotte dure per portare il Paese verso la modernità e un equilibrato benessere. Un testimone che negli ultimi trent’anni, almeno, è divenuto sempre più un bastoncino di legno da passare di generazione in generazione, senza rammentare più la storia che quel simbolo conteneva. Le idee che quel simbolo animava”.
E tutte quelle lotte, quella storia, non possono essere ridimensionate alla lotta al “ sovranismo” -se vogliamo chiamarlo così- salviniano o meloniano o visegradiano o trumpiano. E’ stata lotta dei deboli contro i forti, degli strapoveri contro gli straricchi, degli sfruttati contro gli sfruttatori. E oggi dovrebbe essere dei socialisti contro i neoliberisti.
Paura delle parole? Non sono i significanti a doverci turbare, sono i significati. Ciò che è scomparso negli ultimi decenni è il senso della politica della Sinistra, la sua identità, la sua capacità di resistere, fare muro, scavare trincee contro l’insinuarsi della ideologia mai morta del liberismo economico e ora del neoliberismo senza regole. Basta pensare alla revisione ideologica della funzione della scuola.
In questo senso prendere atto (Serra) del legame fra il PD e il suo funzionario storico Bonaccini non è tanto importante, mentre preoccupa che il “momento critico” sia individuato nel “sovranismo italiano”: non nell’imperialismo americano che ha rialzato la testa, non nella voracità di potere russa, nella ambiguità cinese, nel nazionalismo di tutti i popoli del Medio e Estremo Oriente; non nella concentrazione dei capitali, nello strapotere delle banche centrali, nel cinismo delle Multinazionali che licenziano e delocalizzano indisturbate, nel senso d’impotenza di milioni di lavoratori -in Italia e all’estero- di fronte ai poteri che decidono delle loro vite; non nell’avidità che consuma le risorse comuni del Pianeta, negli sprechi, nelle ingiustizie…
Siamo caduti nell’inganno teso da Salvini, non sugli immigrati (non solo) o sui cittadini armati, ma dell’ideologia sottesa a quel tipo di attenzione, che ci costringe in certo modo a guardare sempre il dito e mai la luna, sempre il recinto dell’orto e mai l’orizzonte; che ci costringe alla paura.
E’ certo che il Partito “ora indubbiamente è chiamato a scrivere una pagina nuova della sua storia. […] Dovrà ascoltare l’invito di Romano Prodi a “spalancare le porte”, a promuovere “ una grande assise aperta che coinvolga esperti e raccolga intelligenze e proposte”.Non so se serva: una forza politica -e dico forza- ha prima di tuttoil compito di leggere la realtà e parlare, elaborare strategie, chiedere il consenso o la critica. E neanche questo basta. Spalanchi pure le porte, ma per far uscire -colle tutte, come si dice a Siena- tutti i centri di potere, i comitati d’affari, le cordate e le consorterie che hanno occupato il Partito da troppo tempo. Poi potranno entrare forze nuove o semplicemente escluse perché di disturbo, che troveranno senso a “sperare e darsi da fare, rimboccarsi le maniche”.
Per quel può interessare e mi riguarda, sono diventato vecchio sempre continuando a sperare, e a credere nella giustizia e nell’equità, e a giurare che le cose cambieranno. Senza dimenticare, come imparavamo quando studiavamo il latino, che “spero, prometto e giuro vogliono l’infinito futuro”. Un Futuro infinito.
Luigi Totaro