Con il DPCM del 22 marzo 2020 sono state sospese la gran parte delle attività produttive industriali e commerciali, ad eccezione di alcune espressamente indicate, tra cui le attività alberghiere con classificazione Ateco 55.1.
Non è invece consentita la prosecuzione delle attività classificate con il codice Ateco 55.2, che ricomprende i villaggi turistici, gli ostelli della gioventù, i rifugi di montagna, le colonie marine e montane, gli affittacamere per brevi soggiorni, le case ed appartamenti per vacanze, i bed and breakfast, i residence, gli alloggi connessi alle aziende agricole.
Nel caso in cui un'attività risulti comunque funzionale al supporto di attività essenziali o comunque consentite, è possibile attivare una procedura di deroga, inviando una comunicazione al prefetto. Così la circolare n.120 del 23 marzo di Federalberghi ha stigmatizzato in termini molto chiari le possibilità date alle attività alberghiera per il 2020.
Accanto a lodevoli iniziative di beneficenza che vanno a coprire però compiti, come fornire strumenti e attrezzature mediche, che dovrebbero essere di competenza esclusiva dello Stato e ad interventi pubblici teorico-ecologico-esistenzialistici, null’altro sembra delinearsi per la Stagione che ormai è alle porte.
Un totale ed assordante silenzio delle Istituzioni locali e delle Associazioni di Categoria dei vari settori pervade la realtà e invade i mezzi di informazione, sempre in bilico tra resoconti più o meno ottimistici sullo Stato delle cose e appelli a restare uniti, perché ne usciremo presto e andrà tutto bene. Mi colpisce sempre di più il realismo, a tratti cinico, di Carlo Calenda che dismesse le vesti del saputello Bottini, interpretato nel ‘Cuore’ del nonno Luigi Comencini tratto dal romanzo omonimo di De Amicis, da tempo ci scuote da questo torpore diffuso: non ne usciremo presto e non ne usciremo bene ma solo molto tardi e poveri, se non agiamo subito.
Non si capisce infatti se e come potremo riaprire le nostre Attività e se potremo farlo perché ad oggi non è cosi chiaro, ossia secondo il DPCM ultimo scorso si distingue tra due codici il cod. ATECO 55.1 per cui si intende: (…) la fornitura di alloggi a visitatori, generalmente su base giornaliera o settimanale e principalmente per soggiorni di breve durata in spazi autonomi costituiti da stanze completamente ammobiliate o aree di soggiorno per la notte con angolo cottura o cucina arredata. Questi spazi possono consistere in appartamenti in piccoli edifici indipendenti a più piani o in gruppi di edifici, bungalow ad un solo piano, chalet, cottage e casette in villaggi turistici.
Poi si annota il cod. ATECO 55.2 per cui si intende: (…) la fornitura di alloggi a visitatori, generalmente su base giornaliera o settimanale, per soggiorni di breve durata. Le strutture qui classificate forniscono alloggi ammobiliati come camere e suite, talvolta con cucinini. Le unità qui classificate forniscono servizi quotidiani di pulizia e rifacimento letti ed offrono una gamma di servizi aggiuntivi quali: ristorazione, parcheggio, lavanderia, piscine e palestre, strutture ricreative e sale per conferenze e convegni.
Nel secondo caso si badi bene non è consentita l’apertura. In modo tipicamente italiano i due codici appaiono simili, eccetto per il fatto che nel caso del 55.2 si intendono più che altro strutture legate alle attività prettamente turistiche, mentre il caso del codice 55.1 riguarda, immaginiamo, alberghi che nella situazione emergenziale attuale possano essere di supporto alla parte di attività lavorativa ancora in funzione e di appoggio con alloggi dedicati agli operatori sanitari provenienti da zone diverse da quelle più critiche e ai parenti dei malati.
Se fosse questa la distinzione stabilita anche nei successivi e attesi provvedimenti governativi, allora forse i margini di apertura per le nostre strutture alberghiere potrebbero esserci e un barlume di speranza per l’intera economia elbana ci sarà. Sia chiaro e ben compreso: all’Elba non esiste altra possibilità che proseguire, magari migliorandola nell’offerta e nel trend qualitativo, l’economia turistica ove la parte del leone la fanno le strutture alberghiere che garantiscono tutto l’indotto dei servizi annessi e connessi, dalla ristorazione, ai servizi balneari e alle imprese di tutti gli operatori turistici che ruotano attorno a questo business.
Quindi sono in primis le strutture alberghiere che devono essere il motore del così tanto discusso riavvio e della ripresa dell’economia isolana, altrimenti destinata a paralizzarsi: attenzione, quindi, a parlare di Patrimoniali anche da parte di dirigenti al massimo livello in ambito regionale o di provvedimenti che mirino a punire una categoria vessata, come già scritto, da un sistema fiscale e da oneri al limite della sopportazione da parte di qualsiasi bilancio, anche il più florido e consolidato. Al contrario il supporto del sistema bancario e lo stop totale ai tributi locali di ogni tipo, specie di quelli Comunali, può essere la sola via affinchè il tessuto imprenditoriale alberghiero elbano non collassi inesorabilmente. Abbiamo notizia di alcune strutture alberghiere che non apriranno del tutto. Bontà loro e alla loro capacità di accettare una stagione intera di chiusura.
Per chi intende invece la propria attività di impresa come la necessità di offire un perno fondamentale in temini sociali e sociologici, nel senso di garantire almeno per il periodo centrale della stagione la fornitura di un servizio per chi potrà e vorrà trascorrere qualche giorno al mare e una oppotunità di lavoro e di guadagno senza dubbio superiore per le migliaia di famiglie elbane che vivono da sempre grazie all’impresa turistica stagionale, allora occorre porsi alcune domande fondamentali. Domande che rompano il silenzio istituzionale e di categoria al quale stiamo assistendo.
Insomma, come potremo coniugare l’apertura di una albergo con le norme igieniche stringenti della attuale emergenza sanitaria e come farlo a livello della gestione interna della struttura sia per l’aspetto del servizio in camera e della ristorazione ad esempio ad oggi non è dato sapere.
La sicurezza dei gestori o dei proprietari e soprattutto quella dei collaboratori dovrebbe essere in cima alle priorità delle Autorità sanitarie, in questo stimolate dalle associazioni di categoria che già, come il citato Calenda a livello nazionale ha raccomandato, avrebbero dovuto organizzare ‘task force’ per stabilire un ‘vademecum minimo di gestione alberghiera per le strutture alberghiere elbane in tema di Coronavirus’ che non consista nel semplice ‘laviamoci le mani e stiamo lontani’, ma disponga una quota di mascherine per struttura, procuri dispositivi di protezione a livello di vestizione del personale e prodotti di igienizzazione da situare nei punti di accesso e di entrata in camera, stabilisca un processo di sterilizzazione aggiuntiva e garantita no-covid che le lavanderie debbano eseguire ad ogni lavaggio, definisca dei criteri per la corretta somministrazione di alimenti e bevande sempre secondo le stringenti misure anti-virus dettate dal ISS, imponga norme di accesso e di comportamento nelle piscine e negli stabilimenti balneari, financo a pensare di imporre la richiesta di una certificazione sanitaria, come si sta facendo in Corea del Sud, ai gentili Ospiti.
Sono semplici e minime indicazioni che dovrebbero già essere allo studio da parte degli uffici competenti, perché così, ossia programmando un futuro, un futuro potrà esserci, altrimenti sono solo belle intenzioni e vetrine di solidarietà all’un per cento del proprio fatturato. Sì certo siamo sulla stessa barca ed è vero, ma la nostra realtà economica e sociale benchè sia piccola è oltremodo complessa se dobbiamo rivederla secondo i criteri appena espressi ed il tempo che ci resta è poco.
Il virus sarà un convivente scomodo nella nostra vita per molto tempo e se si leggono le cronache dell’ultimo evento simile, cioè quello della Spagnola di un secolo orsono, dobbiamo aspettarci anche ondate di ritorno. Dico basta chiacchiere e appelli che sono pure condivisibili: è ora di agire e prepararsi. Agiscano gli organi competenti, le istituzioni regionali e gli istituti di credito, baipassando formalismi e orpelli burocratici perché se non sapremo correre, ma solo rincorrere questa pandemia ci troveremo in un mondo molto lontano da quello deamicisiano e molto di più dentro alcune terribili pagine manzoniane, senza la ‘pietas’ e la benevolenza cristiana del grande scrittore milanese.
Jacopo Bononi