Qualche giorno fa, l’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ha annunciato che «A poco più di dieci anni dalla sua approvazione, pur tenendo conto della variante del 2017 relativa alla zonazione a mare dell’isola di Capraia, è partito l’iter finalizzato alla revisione del Piano del Parco che andrà a rivedere la zonazione dell’area protetta e ad aggiornare le norme tecniche di attuazione, nonché a predisporre il Regolamento del Parco, strumento definito per disciplinare l’esercizio delle attività consentite entro il territorio sottoposto a tutela». E ancora: «La decisione di avviare il processo di aggiornamento degli strumenti di pianificazione e di regolamentazione è scaturita a seguito di un confronto che i vertici dell’Ente Parco hanno avuto con la Comunità del Parco e con i Sindaci dei Comuni coinvolti».
Pur essendo comprensibili le istanze di revisione del Piano a 10 anni dalla sua attuale stesura è evidente, che tale iter non potrà essere avviato senza la partecipazione del Consiglio Direttivo che deve approvare con un voto il Piano e il Regolamento. Infatti, Come si emerge chiaramente dagli articoli 10, 11 e 12 della legge 394/91 la Comunità del Parco “è organo consultivo e propositivo dell’Ente parco. In particolare, il suo parere è obbligatorio: a) sul regolamento del parco di cui all’articolo 11; b) sul piano per il parco di cui all’articolo 12”. La redazione e l’approvazione del regolamento e del Piano, e quindi anche la sua revisione, spettano al Direttivo del Parco, nel quale la Comunità è ben rappresentata da quattro consiglieri di sua nomina, ma che comprende anche altri 4 consiglieri di nomina governativa, uno dei quali su indicazione delle associazioni ambientaliste.
Invitiamo quindi a non procedere impropriamente con un accordo tra Comuni ed Ente Parco che faccia trovare il nuovo direttivo – per la cui composizione definitiva, vista la crisi in corso e la lentezza storica con la quale il ministero procede alle nomine, non si prevedono tempi brevi – di fronte a situazioni precostituite.
In particolare ci preoccupa il fatto che le amministrazioni comunali elbane abbiano già in passato cercato di forzare questa procedura – prontamente fermate dal ministero dell’ambiente – proponendo con 8 singole delibere modifiche alla perimetrazione del Parco Nazionale che in realtà puntavano a vanificarne ogni tipo di protezione del territorio: quelle delibere, messe tutte insieme, avrebbero portato a un Parco ridotto a meno del 30% del territorio elbano – meno di quanto protetto da bandite di caccia e altri vincoli prima del 1996 - e in violazione dello stesso Decreto istitutivo del Presidente della Repubblica e degli allegati che fissavano i limiti minimi di aree da proteggere a seconda delle diverse Isole dell’Arcipelago Toscano. E non ci rasserena di certo il fatto che tra gli amministratori che proposero quel taglio draconiano ci fossero sindaci, assessori e consiglieri che ancora oggi siedono nei Consigli comunali, magari dopo aver cambiato compagine, ruolo e casacca.
Invitiamo quindi il presidente Sammuri a raccogliere naturalmente suggerimenti e informazioni ma a non discutere preventivamente e ufficialmente della stesura del Piano e del Regolamento con la Comunità del Parco fino a quando non sarà nominato completamente il Direttivo del Parco. Conoscendone la sensibilità istituzionale, non abbiamo dubbio che la procedura di legge e le prerogative del Direttivo verranno rispettate.
Inoltre, come Legambiente sottolinea da anni, una revisione e adeguamento del perimetro del Parco Nazionale per renderlo più “leggibile” è senz’altro necessario, ma nessuno pensi di poter stravolgere vincoli ed estensione dell’area protetta, in particolare dove esistono le Zone di protezione speciale (Zps) e Zone speciali di conservazione (Zsc) di Monte Capanne-Promontorio dell’Enfola ed Elba Orientale e dove ogni forma di riduzione dei vincoli o di territorio richiede l’avvio di una procedura che coinvolga anche Regione ed Ue, in mancanza della quale il rischio di una paralizzante procedura di infrazione è più che concreto. E’ anche chiaro che ad ogni adeguamento che comporterà una perdita di territorio protetto dovrà avere come “risarcimento” almeno altrettanto territorio, magari di maggior pregio naturalistico. Ed è chiaro che questo è un compito del Direttivo del Parco con l’ausilio della struttura tecnica del Parco e che va realizzato su basi scientifiche e non di convenienza politica.
Il presidente Sammuri ha anche sottolineato che il Piano del Parco «Ora va aggiornato soprattutto per rivedere la zonazione a mare delle isole minori che ancora oggi sono gestite con le sole norme di salvaguardia. Come per Capraia due anni fa, le estensioni a mare di Giannutri, Pianosa, Gorgona e Montecristo avranno una nuova zonazione». Bene, è quello che Legambiente chiede da anni. Ma questo dovrà - visto anche la nuova economia turistica sostenibile che sarà l’unica alternativa percorribile dopo la crisi del Coronavirus - anche comprendere il riavvio dell’iter per sanare un vero e proprio scandalo internazionale che dura dal 1982: quello della mancata istituzione dell’Area Marina Protetta dell’Arcipelago
Toscano che comprenda anche il mare dell’Elba e del Giglio.
Recentemente il Sindaco di Portoferraio, che è anche presidente della Comunità del Parco, ha detto di essere disponibile a riavviare la discussione su questo vero e proprio vulnus ambientale e legislativo che penalizza sempre più il mare delle due isole più abitate e la loro economia, a partire da quella della pesca e da quella turistica che ruota intorno ai centri di immersione subacquea. Legambiente propone di ripartire dalla proposta di area marina protetta avanzata al tempo dell’allora ministro dell’ambiente Altero Matteoli, indicazioni certo discutibili ed emendabili, ma che avevano il pregio di mettere su una cartografia una proposta attuabile e percorribile che teneva conto delle diverse esigenze, a partire dalla valorizzazione della piccola pesca costiera e del diporto sostenibile.
Per quanto riguarda il completamento dell’iter del regolamento che, in ottemperanza all’art. 11 della 394/91 avrebbe dovuto essere approvato addirittura entro sei mesi dall’approvazione del Piano e che risulta al contrario, pur avviato da anni dal Direttivo decaduto, mai portato a termine, valgono dal punto di vista procedurale, amministrativo e politico le stesse osservazioni fatte per il Piano del Parco e speriamo davvero che, basandosi sul lavoro già fatto dal Direttivo e dagli uffici dell’Ente, si riescano a dare norme di utilizzo del territorio e di comportamento certe, a cominciare dall’incentivare l’agricoltura biologica, la sentieristica a valorizzare e proteggere in maniera mirata biodiversità ed endemismi ed emergenze storico-culturali e a normare finalmente la circolazione delle moto da cross – ai confini del Parco e fuori - alla quale il Parco non è mai riuscito a dare regole certe a causa anche dell’ostruzionismo delle amministrazioni comunali.
La revisione del Piano e l’approvazione del Regolamento potranno e dovranno essere l’occasione per un più vasto coinvolgimento della società insulare dell’Arcipelago, adempiendo così a un ruolo che – in questo caso sì – la legge affida in gran parte alla Comunità del Parco che di fatto non lo ha mai esercitato, non riuscendo ad approvare elaborare nemmeno il Piano di sviluppo economico e sociale previsto dalla legge 394/91 all’art. 14 comma 2.
Ma è chiaro che questo percorso virtuoso e indispensabile potrà avvenire solo ad organi del Parco Nazionale pienamente in carica e ad emergenza Coronavirus completamente superata.