Un falso twitt di un falso Casaleggio (@casalegglo, con la “i” al posto della “l”) circolante in Rete recita: “Avvertire maledetta Primavera che ora c’è fretta”. Lo trovo meraviglioso, e anche denso di significato: certo nel senso meteorologico, dopo un inverno francamente noioso; ma assai più nel senso politico, sociologico, economico, etico. Se non arriva presto la Primavera si mette male davvero.
Siamo uno strano popolo. Abbiamo bisogno di qualcuno che pensi e decida per noi, di un re; e questo bisogno è talmente forte che, anche quando è chiaro e lampante che il re ha sbagliato o sbaglia, a noi basta che sia lì al suo posto, a rappresentare anche la nostra fallibilità. Al Referendum Monarchia/Repubblica il Re perse per pochi voti, dopo tutti i disastri dei precedenti vent’anni; e a lungo nella nuova Repubblica a Napoli –e dico Napoli- ci furono ben due partiti monarchici in competizione, e uno espresse per anni il sindaco della città (Achille Lauro, praticamente un autentico sovrano borbonico). Di Mussolini, com’è noto, sussistono ancora molti nostalgici, che si raccontano e raccontano una storia un po’ fantasiosa, fatta di bonifiche e treni puntuali, e di qualche “ingenuità” commessa; ma soprattutto magnificano il piglio decisionista e la risolutezza del “tirar dritto” del condottiero che pensava per tutti. Il povero Craxi provò senza fortuna a rrecitare quella parte, ma per farlo dovette allontanare dal partito tutti i socialisti storici, e si ritrovò con una massa di “mariuoli” (la definizione è sua) famelici e rapaci: ancora però alla sua tomba si recano in pellegrinaggio molti orfani di una politica di potenza che sublima molte frustrazioni. E Berlusconi, dopo esser stato costretto a lasciare il governo con ignominia, dopo aver condotto la nazione sull’orlo del baratro –al di là della mitologia dei complotti tanto cara alle amazzoni del suo partito-, è stato di nuovo acclamato da un popolo immemore che non cerca idee, progetti, politiche, prospettive (a settantasei anni sono quelle che sono), ma vuole solo e soltanto un capo, un sovrano: meno male che Silvio c’è. Silvio, chiamato per nome come si fa appunto col sovrano.
Poi c’è re Giorgio. Non si può parlarne male, perché è delitto di lesa maestà. Eppure il suo settennato di regno che ora si chiude lo ha visto –nel bene e nel male- rivestire progressivamente prerogative inusitate, certo non previste anche se non escluse dalla carta costituzionale, che a proposito del Presidente della Repubblica risulta eccessivamente vaga. Nel bene e nel male, appunto. Quando ha impedito il dilagare della cosiddetta Costituzione Materiale costantemente tentato dai governi Berlusconi; quando ha rintuzzato gli attacchi all’indipendenza della Magistratura; quando ha rivendicato la laicità dello Stato messa in pericolo dall’opportunismo di infedeli diventati improvvisamente bigotti. Allora ha dovuto supplire con la propria forza alla timidezza, all’incertezza, all’eterna vocazione al compromesso di un’opposizione confusa e imbelle. Ma nel momento più grave, quando erano giunti al pettine i nodi dello sfascio istituzionale, morale, economico della nazione, fedele alle ragioni della sua essenziale moderatezza -coltivata nella lunga vita politica e ben nota a chi lo aveva elevato alla più alta carica dello Stato- per evitare una possibile vittoria della Sinistra (???) ha fermamente deciso di far proseguire la legislatura, dando vita al governissimo dei Tecnici di Monti, invece di mandare il popolo a votare quando ancora chiara e nitida era la percezione dei guasti compiuti dal dimissionario Berlusconi. Il resto è storia dei nostri giorni: siamo comunque andati a elezioni, ma Silvio ha avuto tempo di fare nuovi giochi di prestigio (IMU) e di ritrovare il suo pubblico; un nuovo re si è profilato all’orizzonte, conquistando un terzo dei voti; la Sinistra è di nuovo persa nelle sue divisioni; e l’insistenza di re Giorgio a tenere tutti insieme in una improbabilissima unità nazionale, senza dar spazio ad alcuna novità incontrollabile (o temuta tale), rischia di farci andare di nuovo a votare con una legge elettorale mortale.
Il nuovo re Beppe Grillo. Forse neanche lui se l’aspettava, ma si è trovato fra le mani un troppo grande potere e non sembra saper bene cosa farsene. Da fuori tutti vorrebbero che facesse quello che comoda a loro; ma lui si trova davanti alla decisione di bruciare o mettere comunque a grave repentaglio il movimento e la indubitabile novità che esso costituisce, la capacità di scardinamento di assetti immobili e apparentemente inamovibili, il miracolo dell’attrazione di strati di popolazione che parevano definitivamente esterni all’interesse e soprattutto alla partecipazione politica. Ha bisogno di tempo il Movimento Cinque Stelle; ha bisogno di inventarsi un’organizzazione, di mettere a punto una metodologia nuova di formazione del consenso (è troppo evidente a tutti, compreso Grillo e soci, credo): che nove milioni di voti vengano orientati dagli iscritti al Portale certificati al 31 dicembre 2012 (una cinquantina di migliaia di persone) senza possibilità di nuovi accessi è cosa insensata (e già tristemente nota nella storia delle ‘rivoluzioni popolari’). Per ora il Movimento si protegge, e non credo possa fare diversamente. Certo in un momento grave come questo una sua apertura potrebbe significare davvero un forte impulso al cambiamento, come dicono da Sinistra; ma il rischio, per Grillo e i suoi, è di scomparire per assimilazione all’esistente, e non si può chiedere a nessuno di suicidarsi.
Del resto anche per il PD l’abbraccio con Berlusconi sarebbe mortale, e forse definitivamente: questo non ha capito re Giorgio, e insiste a domandare il sacrificio supremo. Vedremo cosa farà il nuovo Presidente della Repubblica, che ormai è alle porte. Intanto la situazione economica è sempre sul brutto, e cresce la fretta di veder arrivare la Primavera.
Una parola sul nostro Comune Unico. Ragionandoci sopra non c’è una sola, piccola, vaga ragione per essere contrari. Si tratta di una razionalizzazione inesorabile in una realtà come la presente, nella quale le comunicazioni elidono le distanze e le sinergie moltiplicano i risultati. La concentrazione delle risorse –economiche, funzionali, umane, infrastrutturali- si coniuga con la possibilità di interazione a distanza, e garantisce anche nel breve periodo di sviluppare funzionalità migliori a minor costo proprio grazie alla messa in comune di intelligenze e di esperienze. Ma siamo all’Elba, e qui è ancora chimera la possibilità di migliorare notevolmente la qualità della vita attraverso una progettazione integrata del territorio, dei servizi, del marketing (giacché anche di questo si vive); deve passare attraverso un cambiamento di mentalità, di abitudini, di consuetudini; di piccoli assetti di piccoli poteri che facilitano operazioni di piccolo cabotaggio, che migliorano qualche piccola condizione privata al costo di impedire la crescita dell’intera realtà. E poi “s’è sempre fatto così…”. La scelta di domenica prossima non è fra 8 Comuni o un Comune solo: è tra Medioevo e Modernità. Vedremo se siamo pronti per la nostra Primavera.