Abbiamo letto con attenzione sia l’allarme, in gran parte condivisibile, sui danni provocati dagli ungulati del Sindaco di Marciana Simone Barbi, sia la puntuale risposta del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Ma in entrambe manca qualcosa, c'è qualcosa di non detto: mancano tre parole.
La prima è eradicazione: che non deve trasformarsi per forza in una strage e deve comunque avvenire in modo da evitare al massimo la sofferenza degli animali, ma è l’unica soluzione che porrà fine davvero a questa sciagurata calamità che serve solo al divertimento di ormai poche ed anziane persone e che ha distrutto gran parte della preziosa biodiversità elbana.
La seconda e terza sono "area vocata", cioè l'incredibile definizione dell’Isola d’Elba – dove i cinghiali sono stati importati negli anni 60/70 dai cacciatori – come area dove i cinghiali DEVONO starci.
Mentre il Parco Nazionale ha più volte e ufficialmente chiesto l’eradicazione degli ungulati introdotti, non altrettanto hanno fatto i Comuni elbani, così come mentre il Parco ha apertamente contestato la decisione della Regione di definire l’Elba area vocata, non altrettanto hanno fatto i Sindaci elbani di qualsiasi orientamento politico, ignorando perfino le richieste che sono venute in questo senso dalla grande manifestazione organizzata nel 2019 dalla Coldiretti a Portoferraio.
Lo stesso Sindaco Barbi, presentando la situazione drammatica del territorio del suo Comune, ammette di fatto che la caccia non è in grado di risolvere il problema, infatti la situazione descritta dal primo cittadino marcianese (al netto dell’incendio) è riemersa dopo la fine di una stagione venatoria regolarmente tenutasi e terminata prima dell’esplosione della pandemia di Covid-19. In realtà, come dimostrano molti autorevoli studi e ammettono ormai anche esponenti delle stesse associazioni venatorie, la braccata, il tipo di caccia con le mute di cani esercitata dai cinghialai elbani, favorisce la riproduzione dei cinghiali, non a caso a una maggior densità venatoria corrisponde una maggior densità di cinghiali.
Anche la previsione del Sindaco che senza ulteriori interventi (solo del Parco?) la gente si farà giustizia da sola è un’arma spuntata: il primo cittadino conosce troppo bene il suo Comune per non sapere che il bracconaggio nel marcianese è praticato, anche nelle aree che indica come più a rischio, e che i capi abbattuti dai bracconieri sono quasi pari a quelli abbattuti legalmente dai cacciatori, così come sa bene che è anche nel suo Comune che vengono più assiduamente sabotate e danneggiate le gabbie del Parco per catturare i cinghiali e vengono disturbati i punti sparo dei selecontrollori (che hanno percentuali di abbattimento misere), mentre le trappole date ormai molto tempo fa dalla Provincia di Livorno ai cacciatori – che asserivano di saperle gestire molto meglio del Parco – si sono trasformate in pollai e canili, senza mai catturare un cinghiale.
La realtà è che senza il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano non sarebbero stati catturati ed eliminati migliaia di cinghiali, mentre dai Comuni elbani non sono venute altro che lamentazioni, richieste di interventi altrui e poi, al momento delle riunioni, si sono sempre schierati con i cacciatori che hanno tutto l’interesse a mantenere elevatissima la popolazione di cinghiali.
La verità è che la legge regionale sugli ungulati, che affida a chi ha creato il problema – i cacciatori – il compito di risolverlo, si è rivelata un clamoroso fallimento e che all’Elba le battute straordinarie permesse al di fuori della stagione venatoria si sono rivelate un fallimento ancora più grande.
La nomina del Sindaco di Marciana è certamente troppo recente per potergli addebitare responsabilità risalenti anche a un vicino passato, ma è anche vero che ora si trova ad amministrare il Comune che ha, insieme alla quasi defunta Provincia di Livorno e ai cacciatori, la responsabilità dell’introduzione dei mufloni all’Elba come "specie ornamentale" e di aver consentito la realizzazione a Campo Bagnolo dell’allevamento dal quale "scapparono" i cinghiali che hanno dato il via all’invasione dell’Isola e alla distruzione della biodiversità e dell’agricoltura.
Inoltre, la pandemia di Covid-19 in corso rappresenta un forte avvertimento per l’Elba: si tratta di una zoonosi, cioè di una malattia che ha fatto il salto di specie da animale a essere umano (probabilmente passando da un pipistrello a un pangolino e all’uomo) e la situazione disastrosa descritta dal Sindaco – con una popolazione di cinghiali crescente in un territorio sempre più limitato e che arrivano sempre più a contatto con le attività umane e gli animali domestici – è la situazione da manuale per lo scoppio di una zoonosi. A questo si aggiunge la macellazione e la vendita di carne clandestina dei cinghiali bracconati che somiglia molto a quel che accade nei "mercati umidi" della selvaggina, e il quadro è completo. D’altronde il salto di specie fra maiali (e i cinghiali sono nient’altro che maiali selvatici e quelli dell’Elba appartengono alla sottospecie Sus scrofa Attila, fortemente ibridati con i maiali domestici) e l’uomo è già avvenuta nel 2009 con l’influenza suina, causata da un virus proprio come il Covid-19, che si è diffusa in almeno 80 Paesi facendo almeno 18.500 vittime accertate.
Abbiamo già compromesso l’equilibrio e la salute di una biodiversità unica sacrificandola all’hobby di un gruppo ormai ridotto di attempati signori, non possiamo permetterci di mettere a rischio anche la nostra salute e di ampliare un danno economico insostenibile per l’agricoltura e i prodotti tipici che dovrebbero essere uno dei pilastri del nuovo turismo sostenibile.
L’Elba del post-Covid-19 non potrà e non dovrà essere più come prima, non possiamo permettercelo. E’ arrivato il tempo del coraggio, l’ora di compiere atti e prendere decisioni che portino davvero a risolvere i problemi incancreniti. E la gestione venatoria degli ungulati introdotti è solo uno di questi.
Per questo, concordando con le sue preoccupazioni, chiediamo al Sindaco Barbi di farsi promotore tra gli altri Sindaci di un’iniziativa congiunta perché la Regione Toscana torni immediatamente indietro dalla scelta sbagliata e sconsiderata di dichiarare l’Elba area vocata per il cinghiale, classificazione che impedisce anche di fare il secondo passo necessario: chiedere a Ministero dell’Ambiente e alla stessa Regione di avviare un progetto straordinario, con finanziamenti mirati e congrui, per affrontare davvero ed efficacemente l’emergenza cinghiali, portando rapidamente la popolazione di suini ibridi a numeri compatibili con quello che è: un’area non vocata dove i cinghiali sono stati introdotti e dove non dovrebbero stare, puntando poi a una rapida eradicazione, per permettere davvero la rinascita della biodiversità e dell’agricoltura elbane.
Se lo farà avrà tutto il nostro appoggio.
Maria Frangioni, presidente Circolo Legambiente Arcipelago Toscano
Umberto Mazzantini, Consiglio nazionale Legambiente