Partiamo da un primo assunto: il referendum sul comune unico è stato indubbiamente un bel momento di democrazia, sicuramente l'evento politico-amministrativo che verrà ricordato dalla storiografia elbana di questi anni. Non è capitato mai che gli isolani fossero chiamati a decidere delle loro istituzioni con uno strumento di democrazia diretta. Può non piacere agli sconfitti, ma il dato è importante.
Detto questo, mi azzardo a fare un'analisi del voto, spero obiettiva, avendolo vissuto senza isterismi: non pensavo affatto che dopo la proclamazione del comune unico ci sarebbe stata l'apocalisse o disgrazie appena poco inferiori, né che sarebbe iniziata un'età dell'oro; e neanche che se le cose rimangono così arriveremo alla catastrofe o ci logoreremo come vecchi arnesi.
La domanda, secondo me, è se i contrari hanno veramente vinto o se sono i favorevoli che hanno perso. E la risposta è la seconda. Lieto di essere smentito, ovviamente, ma è innegabile che una sconfitta sul tavolo c'è.
Partiamo dall'affluenza. Che l'astensione non fosse irrilevante era prevedibile, non fosse altro che per il fatto che una buona percentuale dei votanti sono finti residenti, ovvero persone domiciliate all'Elba spesso solo una settimana l'anno, detentori di residenze di comodo. E quasi sicuramente neanche al corrente del referendum. Ma altrettanto sicuramente non tanti da giustificare oltre il 50% di astensionismo. È evidente quindi che una fetta rilevante di elbani non era entusiasmata dal tema.
Ritengo invece che chi sia andato a votare avesse le idee chiare per le proprie convinzioni personali, e che la campagna referendaria abbia smosso solo lo zero virgola. Non sono state le tesi dei due schieramenti a convincere i propri supporters, casomai sono state sposate da questi solo per partito preso. Questo sicuramente non ha giovato ai promotori del sì.
Ma ritornando al dato dell'astensione si evince che gli stessi procomuneunico non hanno saputo giocare nel campo di quelli che non si erano formati un'opinione: non sono riusciti a portare alle urne con argomentazioni convincenti una percentuale che, astensionismo fisiologico a parte, poteva essere decisiva per la vittoria.
Ma perché la loro campagna non è stata convincente? A mio parere per queste ragioni.
1) I contrari avevano un compito facile, solo opporsi al comune unico: non dovevano certo prefigurare uno scenario futuro, dovendo conservare l'esistente. I favorevoli invece non potevano soltanto impuntarsi sui limiti dell'attuale: era necessario coinvolgere in una programmazione condivisa. Una sfida obiettivamente difficile. Ma non ne sono stati all'altezza.
2) In un referendum dove le indicazioni dei partiti contavano meno di nulla, dato che i pro e i contro erano trasversali a ogni gruppo, alcuni esponenti dei favorevoli si sono fossilizzati con il giochino sterile e tipicamente novecentesco della categorizzazione dell'elettorato: ma il pdl che ne pensa?, ma il m5s dove si colloca? ma il pd che indicazioni dà? Credo che questa strategia sia stata addirittura suicida: a molti elettori il tema comuneunico è apparso come un dialogo inter nos tra politici, quello che si suol dire “se la cantano e se la suonano tra di loro”, con la presunzione che tutti ci dovessimo appassionare a volumi di comunicati in politichese, o peggio dovessimo seguire acriticamente segreterie che a malapena rappresentano se stesse. Prima che a questa gente qualcuno dia un benvenuto nel ventunesimo secolo, facciano autocritica per aver portato una giusta istanza a una rovinosa sconfitta.
3) Errore madornale dei favorevoli è stato quello di puntare tutta la comunicazione su esponenti politici e delle categorie economiche. Perché non si è coinvolto e buttato nella mischia anche appartenenti alla società civile? Personalità della cultura locale? Del volontariato? Degli studenti? Delle associazioni? Senza di essi, che avrebbero potuto legare e coinvolgere nella discussione una fetta più ampia della popolazione, il dibattito è sembrato, ribadisco, una tribuna politica, peraltro noiosa, tra elite.
Insomma nell'anno di grazia 2013 è stata persa un'occasione. Il prossimo treno ripasserà solo quando le incrostazioni passatiste e campaniliste di questa generazione si estingueranno senza compianti.
andrea galassi