Quella di Punta Penisola e del suo sentiero chiuso da un cancello che impedisce l’accesso alla zona B – Riserva generale orientata del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano è una storia di denunce e proteste di Legambiente – anche con un blitz di Goletta Verde nel giugno 2012 - che ne ha testardamente chiesto la riapertura insieme agli Amici del Forno.
Proteste snobbate dal Comune di Portoferraio ma accolte dal Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano che nell’agosto 2019 ha emesso un’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell’articolo 29 della legge 394/91 sulle aree protette, che intimava la «demolizione del cancello dei relativi pilastri che lo sostengono e di tutte quelle opere ad esso connesse compresa la recinzione .... per ripristinare la libera fruizione del sentiero escursionistico n. 251».
Ordinanza contro la quale ha fatto ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (TAR) la signora straniera che si era trincerata nel suo compendio immobiliare dietro il cancello che impediva l’accesso a un sentiero storico, mappato e campionato che collega Forno al Viticcio lungo la costa, secondo lei quelle opere esistevano da «tempo immemorabile» e «mai sarebbero state oggetto di contestazioni». Il Comune di Portoferraio non si è costituito in giudizio, ma il Parco Nazionale sì e ha fatto valere, attraverso l’Avvocatura dello Stato, le ragioni dell’ambiente e dell’interesse pubblico.
Il Parco, a conclusione di una lunga vicenda punteggiata da ricorsi e segnalazioni di Legambiente Arcipelago Toscano, e sequestri e multe della Forestale, aveva ingiunto alla signora di demolire recinzione e cancello che chiudevano il sentiero perché realizzati senza il nulla osta obbligatorio dello stesso Parco e perché impedivano l’accesso al sentiero 251, «destinato alla libera fruizione collettiva».
La causa è stata discussa il 4 giugno e il TAR ha respinto la tesi della proprietaria secondo la quale «Trattandosi di opere di edilizia libera rientranti fra le manifestazioni tipiche del diritto di proprietà, né il cancello, né il tratto di recinzione, richiederebbero il preventivo rilascio di titoli edilizi o paesaggistici». La signora, come fanno altri all’Elba che hanno chiuso i sentieri, ha negato «L’esistenza di qualsivoglia diritto di uso pubblico o collettivo».
L’Ente Parco ha ribattuto che esisteva una servitù attiva di passo pedonale per l’accesso al mare ed alla strada vicinale di Forno-Viticcio, a conferma dell’uso pubblico pedonale del sentiero intercluso dall’apposizione del cancello. Inoltre, il sentiero 251 è cartografato in numerosi atti di natura pubblica e documentato in pubblicazioni per l’attività escursionistica realizzate dall’ex Comunità Montana dell’Elba e Capraia, dal Corpo Forestale dello Stato e dal CAI fino dal 1987.
Il TAR ha giudicato il ricorso è infondato anche in base alla documentazione fotografica tratta dalle segnalazioni di Legambiente e risalenti già al 2008, che mostrano la costruzione del cancello ed ha evidenziato che «La realizzazione in zona vincolata di una cancellata del tipo di quella che chiude il fondo di proprietà della ricorrente (cancello metallico sostenuto da tratti di recinzione in muratura, uno dei quali a diretto contatto con una parete rocciosa, l’altro che si prolunga fino al margine della scarpata) esige il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica» a questo si sono aggiunte le misure di salvaguardia previste dal Decreto del Presidente della Repubblica che nel 1996 ha istituito il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano che vietano di realizzare nelle zone agricole «Qualsiasi tipo di recinzione, ad eccezione di quelle necessarie alla sicurezza delle abitazioni, degli impianti tecnologici e di quelle accessorie alle attività agro-silvo-pastorali, purché realizzate secondo tipologie e materiali tradizionali, e delle delimitazioni temporanee a protezione delle attività zootecniche». Il TAR sottolinea che «E’ di tutta evidenza che la recinzione e il cancello di proprietà della ricorrente non rispondono a dette caratteristiche costruttive». Comunque, anche prendendo per buone le ipotesi della ricorrente sui vincoli paesaggistici, «La realizzazione del cancello avrebbe richiesto il preventivo rilascio di nulla osta dell’Ente Parco» e il parco ha anche ragione per quanto riguarda il diritto di uso pubblico per l’accesso al mare e alla strada vicinale Forno – Viticcio e sul tracciato del sentiero che è stato chiuso, confermato anche dalle cartografie. Il TAR sottolinea che «Le risultanze cartografiche trovano riscontro in una consistente serie di esposti e segnalazioni, talora cumulativi, indirizzati all’Ente Parco da associazioni di tutela ambientale e da cittadini» che vanno dal 2004 al 2019 e quindi successivi all’acquisto della proprietà da parte della signora ricorrente e che «Lamentano l’impossibilità di accedere al sentiero a seguito della chiusura del cancello, ovvero del varco pedonale lasciato aperto dalla proprietà pur dopo la realizzazione del cancello (dagli esposti si comprende che il varco è stato più volte chiuso e riaperto). Il sentiero – identificato dagli esponenti talora con il n. 50, talora con il n. 51 o con il n. 251, coerentemente con le risultanze cartografiche già esaminate – è descritto in tutti gli esposti come da sempre liberamente accessibile dagli escursionisti nell’ambito del “circuito trekking di Punta Penisola” (così l’esposto di Legambiente del 28 aprile 2012) e regolarmente indicato dalla segnaletica del CAI, del Parco Nazionale e della locale associazione “Amici del Forno”, oltre che, come si è visto, nelle guide escursionistiche».
Dopo aver richiamato i compiti e le prerogative del Parco Nazionale e legge regionale toscana n. 17/1998, che, «nell’ambito delle azioni tese alla conoscenza, valorizzazione e tutela del patrimonio ambientale, delle tradizioni locali e dei caratteri culturali e storici del paesaggio toscano, favorisce lo sviluppo dell’attività escursionistica quale mezzo per realizzare un rapporto equilibrato con l’ambiente e per sostenere uno sviluppo turistico compatibile, e promuove il recupero della viabilità storica, la realizzazione della rete escursionistica e dei sentieri, nonchè la realizzazione di attrezzature correlate», il TAR evidenzia che «l’esistenza dell’uso collettivo si identifica nel comportamento della collettività contrassegnato dalla diffusa convinzione di esercitare sul sentiero un proprio diritto: convinzione chiaramente attestata dai reiterati esposti raccolti dalle autorità competenti, ivi compreso l’Ente Parco resistente, ogniqualvolta è stata riscontrata dai fruitori dei percorsi escursionistici la chiusura del cancello di accesso al sentiero oggi identificato come n. 251; e avvalorata non soltanto dalle caratteristiche dei luoghi, tali da non consentire di distinguere l’attuale viabilità di accesso alla proprietà della ricorrente dagli altri sentieri presenti nel Parco, ma anche dal comportamento tenuto nel corso degli anni dai proprietari dei terreni attraversati dal sentiero n. 251, i quali, fino all’acquisto da parte dell’odierna ricorrente, risultano avervi sempre consentito il transito pedonale».
Per questi motivi il TAR ha respinto l’impugnazione dell’ordinanza del Parco Nazionale e condannato la ricorrente alla rifusione delle spese processuali.
«Ci sono voluti 16 anni – commenta Umberto Mazzantini di Legambiente e rappresentante delle associazioni ambientaliste nel direttivo del Parco Nazionale – ma siamo testardi e alla fine ha vinto il bene e l’interesse comune. Ringraziamo chi, insieme a noi si è battuto per restituire un percorso pubblico a elbani e turisti. Ora questa sentenza deve servire da esempio e stimolo per le Amministrazioni comunali elbane dove ci sono situazioni di questo tipo con accessi ai sentieri chiusi. A cominciare da Galenzana, dove ora il Comune di Campo dell’Elba ora ha – come diciamo inascoltati da molti anni - l’evidenza di strumenti legislativi e sentenze per riaprire lo storico sentiero costiero e per intervenire su altri percorsi che vanno verso Capo Poro, chiusi e spostati dai privati. Lo stesso vale per Portoferraio, sia per Cala dei Frati, dove una soluzione sembrava essere a portata di mano anche per la disponibilità dei privati, ma poi tutto è finito nel dimenticatoio, sia per il Cammino della Rada e altri sentieri del Catasto Leopoldino chiusi o spostati. Situazioni simili, soprattutto lungo la costa, non mancano praticamente in nessuno dei 7 Comuni elbani. La sentenza del TAR dimostra che la prepotenza non paga, ma anche che non vince solo se gli Enti pubblici fanno il loro mestiere: difendere i beni comuni e i diritti dei cittadini, come ha fatto il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano».
LEGGI IL TESTO COMPLETO DELLA SENTENZA DEL TAR (15/07/20)