Nel maggio 1913 a Milano ci fu un grande sciopero generale per chiedere equità nella paghe degli operai. Questo sciopero fu organizzato con Filippo Corridoni (imprigionato) da Alceste de Ambris, Casotti ma soprattutto da Pulvio Zocchi sindacalista anarchico dell’Unione Sindacalista. Aderirono a questo imponente sciopero non solo gli operai metallurgici ma anche i fattorini telegrafici, tranvieri e persino i fruttivendoli.
A proposito delle rivendicazioni sindacali, Zocchi scrive a Gramsci: “Gli scioperi risultano essere un mezzo efficace per i lavoratori tedeschi, inglesi e dei paesi nordici in generale, dove il temperamento nazionale è differente dal nostro, dove le masse sono organizzate dalla testa ai piedi. Noi siamo gente impulsiva e facilmente entusiasmabile, ma non manca in noi lo spirito di sacrificio. Il proletariato internazionale ci sta guardando”.
Di seguito alcuni estratti dei commenti della stampa dell’epoca, a seguito degli scioperi che le maestranze ed i sindacati organizzavano.
Siamo, se Dio vuole in pieno sciopero generale. Uno in maggio, uno in giugno, uno in agosto. Oramai uno sciopero generale al mese. Non c’è male………….Oggi è l’Unione Sindacalista che urla contro la Camera del Lavoro. Fattorini telelegrafici, tranvieri, metallurgici, tutti vanno matti per l’Unione Sindacalista capitanata dal celebre Pulvio Zocchi che indice uno sciopero ad oltranza per solidarietà coi metallurgici, che vogliono imporre agli industriali l’aumento delle mercedi collettive,-e lo sciopero si fa…….a dispetto della Camera del Lavoro che lo disapprova, ma si rassegna, per stare a vedere. Che c’è di male nello stare a vedere?
Una volta c’erano due politiche – quella del prevenire e quella del reprimere. Ora è di moda quella dello stare a vedere. Non è forse una bella trovata anche questa? Non si accontentano forse tutti, nella stessa misura in questo modo? Facciano un poco tutti quello che vogliono. Ognuno fa ciò che meglio crede………salve le sassate e le violenze dei sindacalisti e dei loro alleati teppisti.
E ancora: …….. mentre tutti vedono e sanno che il cosiddetto conflitto economico fra gli operai metallurgici ed i loro industriali non ci ha proprio niente a che fare, e che questo sciopero generale non è che un saggio di supremazia della “tirannide sindacalista”, la quale vuol dire ai socialisti, alla cittadinanza, alle buone e perplesse autorità “comando io”. E cosa sarebbe il mondo se davvero riuscissero a comandare i Pulvio Zocchi?..............................Gli operai dicono che nell’ultimo decennio la vita è rincarata, ma dovrebbero anche pensare – come bene osservano gli industriali- che nello stesso periodo di tempo, a parità di tutte le altre condizioni, le mercedi operaie sono aumentate in media di almeno il 30%.......................
Chiunque abbia seguito le agitazioni operaie, ha potuto facilmente convincersi come nella maggior parte dei casi esse siano suscitate e prolungate dagli operai giovani, dai meno bisognosi e soprattutto dai meno diligenti e dai più turbolenti sui quali hanno facile presa le parole e l’opera degli organizzatori. Questi operai vorrebbero ottenere attraverso le agitazioni quei miglioramenti ai quali sanno di non poter aspirare per nessuna legittima ragione. Gli industriali hanno quindi il dovere di opporsi a queste ingiuste pretese.
Tutto questo passerà, questa è la politica filosofica dello “ stare a vedere”. Stando a vedere- naturalmente- c’è qualche coltellata per qualche carabiniere, ci sono delle sassate per le guardie, delegati e soldati, giacché la politica dello stare a vedere ha essa pure i suoi incerti; ma dopo tutto……….”evviva la libertà” L’illusione della libertà l’hanno avuta ieri a Milano anche gli erbivendoli, fruttivendoli…………..la serrata naturalmente era tutta a loro rischio e pericolo. Dei bottegai che chiudono bottega cominciano senz’altro col rimetterci.
L’articolo si chiude con “stiamo un poco a vedere”.
Sono passati giusti giusti cent’anni, su quello che scrivevano all’epoca c’è poco da dire ma molto da riflettere. Intanto lavoro non ce ne è più, gli industriali italiani sono spariti in Cina e nell’Europa dell’est, e a noi non resta che stare a vedere, oltre che elemosinare ciò che dopo due guerre mondiali, saggiamente è stato sancito dalla nostra Costituzione: il diritto al LAVORO.
Roberto Borra
Cento anni fa a Milano ... ma 102 anni fa all'Elba le tensioni erano le stesse, lo sciopero anche molto più duro, lunghissimo, tanto da sfiorare i 100 giorni, quando si giunse al blocco degli altiforni con tutta una città in ginocchio, con un'isola diventata da pochi anni "polo industriale" in cui i bambini delle famiglie proletarie venivano mandati a scampare temporaneamente indigenza e miseria presso le famiglie dell'Emilia già rossa, già solidale in un'epoca in cui essere di sinistra era informare la propria vita a valori veri e concreti.
Trattiamo dello sciopero del 1911, finito peraltro non proprio in gloria per gli operai siderurgici, durante il quale i pescatori cedevano il frutto del loro lavoro gratis agli scioperanti, i piccoli commercianti solidali facevano tutto il credito che potevano ma "si puzzava dalla fame" ugualmente.
Anche allora ed anche all'Elba la stampa dei capitalisti, dei padroni delle ferriere usava gli stessi argomenti e toni: ma cosa vogliono questi operai? Non si rendono conto che di essere dei privilegiati? (a farsi sfruttare, a crepare in campo di colata o in miniera).
Qualche mese prima, proprio in quella Portoferraio aveva cessato di vivere Pietro Gori e nell'occasione dello sciopero l'impudenza padronale non si arrestò davanti a quel lutto collettivo, si tentò quella che oggi si potrebbe definire una speculazione politica particolarmente abietta, scrivendo, affermando che il più famoso degli anarchici toscani, perfino lui, avrebbe sconsigliato la classe operaia a impegnarsi in un braccio di ferro talmente duro. La stessa impudenza che avrebbe fatto scrivere qualche anno dopo: "se Pietro Gori fosse vissuto sarebbe diventato un vigoroso fascista".
Che cosa ha a che vedere l'isola dei nostri giorni con quella lontana più di un secolo? Molto poco, diversa è la sua economia, diverso le stratificazioni sociali, diversamente diffusa la ricchezza. Centrale rimare la problematica dei diritti il primo dei quali è quello recitato dall'articolo 1 della Costituzione Italiana. Il Lavoro, un diritto conquistato anche grazie alle lotte toste di quegli anni dai quali ci giungono le immagini in bianco e nero. Un diritto però ancora da trasferire dalla solenne carta alla vita se almeno 4 giovani su 10 non hanno un lavoro, anche in un comprensorio a "ricchezza pro-capite" alta come il nostro.
Ciò abbiamo premesso, per ricordare ai diostratti che il 1° Maggio non è solo vino e baccelli, non è festa di tutti, non può essere festa di chi non si sente fondamentalmente membro di una società di uguali, non può essere festa di chi vuole mettere la retromarcia al treno della storia, contestare le conquiste di chi meno ha, far regredire la solidarietà dispensata dallo Stato. Il 1° Maggio è qualcosa insieme festoso ma pure sacrale.
Tanto per precisare
Sergio Rossi