Come ogni anno di questi tempi tutti parlano di acqua, di problemi idrici, in particolare in questo agosto pre-elettorale si parla soprattutto di dissalatore. Ma , come al solito, lo si fa senza alcuna cognizione di causa. L’imperativo categorico era uno solo: lasciarli fare come quattro amici al bar. Sentenziano, censurano, pontificano lasciando però vedere una ‘non conoscenza’ dell’argomento. Il silenzio si era rafforzato soprattutto ora che, ai quattro amici, si sono aggiunti i politici in corsa per le prossime regionali che sull’argomento non sanno fare nemmeno quattro chiacchiere da bar, e che fino ad oggi hanno trascurato l’argomento o nel passato la pensavano diversamente da quanto ora pontificano.
Ma devo e dobbiamo ringraziare Giovanni Muti per la sua risposta su ElbaNotizie a Marcello Meneghin: dopo aver sostenuto che il Ministero trovò “semplice e geniale” l’idea di Meneghin, afferma chiamandomi in causa che “…l’Ente che avrebbe dovuto fare il piano di fattibilità, la Comunità Montana, alla cui direzione c’era l’ex Sindaco di Portoferraio Mario Ferrari, non lo fece e tutto fallì. L’ignoranza dei dirigenti di enti importanti è una caratteristica del nostro paese…omissis…”. Qui corre l’obbligo di un modesto e limitato intervento su un argomento importante dove anche il nostro Giovanni ha necessità di un piccolo ripasso in modo che possa informare la folta platea dei suoi lettori e tutti i parvenu dell’ultimo momento.
Premettendo la profonda stima, per la preparazione e per la tenacia, nei confronti di Marcello Meneghin, al quale ho dato ampio risalto del suo progetto in una mia recente pubblicazione, vorrei ricordati, caro Giovanni, che il “progetto Meneghin” è stato presentato, in occasione di un convegno, il 13.06.2002 ossia nel momento in cui erano in corso le procedure per il passaggio della gestione del sistema idrico integrato dalla Comunità Montana all’ASA; quindi non parlerei di fallimento - anche perché, solo quattro anni prima, l’11.12.1998, la Comunità Montana aveva presentato il progetto dell’Ing. Edmondo Forlani per un impianto di accumulo di 1.500.000 di mc. - parlerei piuttosto di rispetto di normative legislative.
Questa occasione mi offre l’opportunità di rappresentare che sull’argomento non c’è la necessaria informazione e conoscenza per capire l’attuale stato dell’arte; ragionare oggi per affrontare il futuro necessita della conoscenza del passato che è ‘rileggibile’ per la ricca letteratura in materia che, però, sembra sconosciuta a tutti.
Dall’esperienza e dagli studi emerge chiaramente un comune denominatore che è quello dell’accumulo, concetto sviluppato già dai Medici al momento della costruzione di Cosmopoli, l’attuale Portoferraio, oltre il quale poi si articolano tutte le altre forme di approvvigionamento.
Dopo la realizzazione, a cura dello stabilimento siderurgico Ilva, del primo vero acquedotto (quello del Capanne) inizia l’attività di studio, ricerca e programmazione – dovuta all’incremento demografico e allo sviluppo del turismo - che negli anni ‘50 porta, su iniziativa del Consorzio Acquedotti Elbani, a sviluppare un progetto dell’Isp. Gen. Mazzetti dell’Ufficio Idrografico dell’Arno per un bacino di raccolta del supero sorgivo con un mega serbatoio interrato in località Pietra Acuta mentre la Cassa per il Mezzogiorno individuò 3 siti (rispettivamente 1.500.00, 400.000 e 500.000 metri cubi) concetti che trovano sviluppo nel Progetto Speciale 16, approvato dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica nel ’72, con il quale si finanziava il bacino di Pomonte per 1.500.000 di mc oltre l’acquedotto sottomarino; questo ci fa capire il concetto di articolazione e diversità della fornitura, come dire – in parole povere – che servono più di una soluzione per risolvere certi problemi. Un concetto che ritroveremo anche più avanti. Sempre negli anni ‘70 il capo servizio dell’Ufficio Idrografico di Pisa, Edo Novi, fornisce al CAE il progetto di un invaso a Poggio Peritondo per 2.500.000 mc., addirittura nel versante orientale dell’isola! Da non dimenticare poi il progetto curato dall’ETSAF (Ente Toscano Sviluppo Agricolo Forestale) per conto della Comunità Montana e Regione Toscana di 15 piccoli invasi a scopo irriguo per oltre 600.000 mc.
Questa è la cronistoria del XX secolo; nel terzo millennio il principio dello stoccaggio continua sia pure con ipotesi diverse, a parte il piano dei bacini imbriferi avviato e abbandonato da ASA – l’attuale gestore del servizio idrico - basato sui soliti principi degli sbarramenti: ecco quindi Meneghin con la galleria di poco meno di 2.000.000 di mc , ed ecco la proposta del Prof. Pier Giorgio Megale del laboratorio nazionale dell’irrigazione dell’Università di Pisa, dove si ipotizzava che la stessa falda sotterranea, nella piana di Campo, costituisse un bacino dal quale attingere, con il rimpinguamento invernale e dopo aver realizzato un diaframma per impedire l’intrusione di acqua salmastra, con ben 6.000.000 di mc da emungere.
Da questo excursus emerge un dato importante, e cioè che l’accumulo è una costante nel tempo indipendentemente dalle tecnologie; tutti i progetti hanno in comune Enti e progettisti di spessore con elaborati caratterizzati da studi, analisi e dati che danno certezze per una valutazione obiettiva. Per quanto detto, quindi, auspicherei che i quattro amici tra un caffè e l’altro si informassero, gli anonimi saccentoni smettessero di punzecchiare Marcello Meneghin valutando anche quanto predisposto negli anni ‘60 a Portoferraio per un dissalatore, poi cancellato, oltre ad accertare l’esperienza di dissalazione sviluppata a Cavo nel 2000 (per chi non la conoscesse è descritta nel mio libro “Un acquedotto in mezzo al mare”) così da capire che il concetto di accumulo mai preso in considerazione nemmeno nel caso del dissalatore di Mola come supporto di modulazione è il contributo fondamentale per il futuro
Sarà il caso quindi di ricordare ai futuri amministratori Regionali che con un solo sistema di approvvigionamento l’Elba non sopravvive, le sorgenti non bastano, i pozzi non bastano, la condotta sottomarina, come da collaudo che ne valutava in 25 anni la vita attiva ha raggiunto i 34 anni di servizio ed è sofferente per le offese subite e quindi può abbandonarci da un momento all’altro e far collassare il sistema Elba e - infine - il dissalatore non può assolutamente surrogarla, per cui pensate tra i tanti studi e progetti ad un accumulo secondo un nuovo concetto: “il principio della biodiversità strutturale fa bene all’Elba come la biodiversità naturale fa bene alla natura”
Mario FERRARI