Le elezioni regionali sono alle porte e mi viene in mente che dieci anni fa prendeva avvio in Toscana, grazie al lavoro instancabile di Anna Marson, Assessora all’Urbanistica della Regione, l’intensa attività che avrebbe portato, nella primavera 2015, al PIT o Piano di Indirizzo Territoriale con valenza di Piano Paesaggistico. Un lavoro denso e importante, che andò, almeno parzialmente, coniugandosi con un’altra iniziativa importante, la legge 65 approvata nel 2014, Norme per il governo del territorio, detta anche “legge contro il consumo di suolo”. I risultati di questo lavoro fanno onore alla nostra Regione. Legge 65 e PIT Toscana sono studiati nei corsi di laurea di molti paesi europei, sono due fiori all’occhiello del buon governo della Toscana.
Al di là delle complesse architetture legislative e normative, Legge 65 e PIT si sintetizzano nella perifrasi: qualità del paesaggio (e della vita). Legge e PIT si realizzano nell’equilibrio interno al dualismo governo-partecipazione: la legge efficace è quella che convince il cittadino il quale, a sua volta, ne diventa il migliore garante.
Legge e PIT puntano ad una formula del governo del territorio fatta di collaborazioni interistituzionali e di risoluzione dei conflitti, di tutela e qualità del paesaggio e del territorio, di partecipazione: partecipazione dei cittadini alla formazione degli atti di governo del territorio e costruzione di una “filiera partecipativa”. Quando la partecipazione diventa componente ordinaria delle procedure di formazione dei piani, allora i soggetti istituzionali, i cittadini, gli attori economici partecipano attivamente al progetto di costruzione delle decisioni.
La legge e il PIT auspicano un recupero dei valori dell’agricoltura, intesa come complesso di pratiche che attivano anche meccanismi di rispetto dell’ambiente e di positiva valorizzazione del paesaggio. In tempi in cui l’agricoltura, in Toscana e altrove, è alle prese con problemi gravi come il cambiamento climatico, la siccità, l’invasività anomala di alcune specie animali, lo sfruttamento criminale della manodopera, questo tipo di atteggiamento, istituzionale e culturale al tempo stesso, merita certamente di essere implementato.
Nel PIT ha un ruolo importante la cultura, da intendersi non come ciliegina che si colloca sulla torta a fine cottura. La cultura è base e strumento di convivenza, è il complesso degli elementi che consente di mediare e negoziare, di trasformare una collettività in una comunità di eredità consapevole delle proprie geografie e delle proprie storie. Secondo la convenzione di Faro le popolazioni devono avere un ruolo attivo, interattivo e di partecipazione nel riconoscimento dei valori e dell’eredità culturale. La valorizzazione non discende più soltanto dallo Stato ma è basata sulle sinergie di pubblico, cittadini, privati, associazioni, su comunità di eredità intese come “insiemi di persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale”.
È questo spirito, di comunicazione, di partecipazione, di scambi che dobbiamo rafforzare.
Il futuro si presenta tutt’altro che roseo, con candidati di varia provenienza che promettono di “mitigare” sia la “65” sia il PIT.
Da cittadini elettori dobbiamo chiedere con forza l’esatto contrario: di rafforzare il senso della cittadinanza attiva come unico strumento che può assicurare una rotta corretta e una navigazione sicura.
Il paesaggio è un cerchio che deve pur chiudersi, da qualche parte. Se comincia con la visione dei pittori e prosegue con gli studi e le posizioni di geografi, urbanisti, storici, archeologi, geologi, ecologi, economisti, giuristi, imprenditori…alla fine il risultato dovrebbe essere sempre lo stesso: l’interesse pubblico e la salute e la felicità dei cittadini.
Franco Cambi
Università degli Studi di Siena