Giro di vite Ue sui paradisi fiscali, il futuro è in Europa 2020 e nella Crescita Blu, Umberto Mazzantini responsabile nazionale di Legambiente per le Isole Minori, interviene sulla questione sollevata negli ultimi mesi che vorrebbe una Zona Franca per l'Isola d'Elba
In tempi di crisi complicate la cosa più facile è (ri)tirare fuori soluzioni “semplici”, quasi banali. Come scriveva qualche giorno fa Gianni Demuro su Sardegna Democratica: «Soluzioni raccontate come se fossero da sempre disponibili, sempre alla vista di tutti, sempre visibili ma disvelate d’incanto da alcuni illuminati. Ancor più si palesano soluzioni in momenti di drammatica crisi economica e sociale, cosi che appaiano come salvifiche, soluzioni potentissime. In realtà, è proprio in questi momenti che dobbiamo mantenere tutto il nostro raziocinio e analizzare le proposte con la massima serietà». Demuro parla di quella “zona franca” o porto franco che viene presentata come un “diritto dei sardi” e che qualche buontempone all’Elba vuole far passare per “un diritto degli elbani” conculcato dalla Regione, come sempre matrigna e cattiva, che non vuol concederci quel che ci spetta perché vuole rovinare la nostra isola.
Sarà bene allora ricordare i pilastri su cui si fonda il sistema tributario e fiscale della Repubblica nel quale la Regione a statuto speciale Sardegna è inserita in maniera un po’ diversa dalla Toscana, che è una Regione a Statuto ordinario. La prima competenza dello Stato è stata quella di raccogliere le imposte, allo Stato era affidato il potere di “spada” e di “moneta”. «Con la nascita della Repubblica italiana i Costituenti non fecero che confermare tale antica ragione – scrive Demuro - e, di conseguenza, affidare alla competenza esclusiva dello Stato il sistema tributario e doganale. Il primo punto fermo è, dunque, che la competenza è esclusivamente statale e alle Regioni a Statuto speciale (non alla Toscana, ndr) sono attribuiti alcuni “privilegi fiscali” in un ambiente di autonomia finanziaria. Privilegi fiscali disciplinati in ogni statuto regionale secondo le ragioni della specialità riconosciute in maniera diversa a ogni regione, ognuna ha la sua specialità finanziaria cui corrisponde la specialità regionale. Sono proprio gli statuti speciali a rappresentare il nucleo duro del cosiddetto “federalismo fiscale” (in seguito disciplinato dalla legge delega 42/2009 anche per le altre regioni) in quanto regolano i rapporti “uno ad uno” tra lo Stato e la singola regione speciale. In sintesi, ogni regione ha il suo privilegio fiscale in ragione di quanto è riconosciuto dallo statuto speciale». Le regioni a Statuto speciale sono Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia.
La Sardegna può ragionare della costituzione della zona franca doganale in base all’articolo 12 dello Statuto che riserva allo Stato la competenza in materia doganale e prevede la possibilità di istituire “punti franchi” nell’isola, disciplinando l’attuazione delle “zone franche doganali” in 6 porti con aree industriali collegate o collegabili funzionalmente e soprattutto da anni in fortissima crisi economica e occupazionale. Situazione del tutto diversa da quella dell’Elba. A complicare le cose per i tifosi della “zona o porto franco” elbana c’è anche la disciplina dell’Unione europea che lo Stato è obbligato a realizzare. Quindi alla Sardegna (non alla Toscana) è concessa la possibilità di delimitare parti del territorio in accordo con chi ha la potestà tributaria, cioè lo Stato. L’unica zona franca sarda fino ad oggi, definita è quella del porto di Cagliari. «La specialità – conclude Demuro - ha un contenuto procedurale e si fonda sul principio di leale collaborazione, di conseguenza nell’ambito di quanto previsto dallo Statuto speciale e dalle relative norme di attuazione è possibile, definire alcune forme di fiscalità di vantaggio ma, in un sistema costituzionale a finanza derivata, nessun diritto può essere brandito come originario». Questo in Sardegna e per le sue aree industriali in crisi, figuriamoci all’Elba dove l’unica industria è il turismo e che, pur in crisi, non è certo paragonabile alla drammatica situazione delle miniere del Sulcis o del polo chimico di Porto Torres.
Il 5 aprile il Pd della Sardegna ha organizzato il dibattito “Zona Franca in Sardegna: sogno o realtà?” ed ha sottolineato che «Il dibattito sulla Zona Franca in Sardegna domina ormai l'agone politico da diversi mesi e conquista ancora in questi giorni le prime pagine dei giornali dopo la clamorosa risposta del Direttore Generale alla Fiscalità e Unione doganale della Commissione Heinz Zourek in cui si precisa che la Regione Sardegna dovrebbe indirizzare più correttamente le sue istanze presso il Governo italiano». Il dibattito ha dovuto prendere atto di quanto detto da Franca. Barracciu, un’eurodeputata del PD molto attiva sulle questioni dell’insularità, e cioè che il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci «Deve smetterla di prendere in giro i cittadini sardi come Berlusconi ha fatto per anni con le popolazioni colpite dal terremoto dell'Aquila».. La Barracciu, vicesegretaria del Pd sardo, ha ricordato che «Le zone franche per i porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme e Arbatax siano già state definite dal governo. Quindi il 4 febbraio, «Dopo ben quattro anni di governo inconcludente, non ha fatto altro che un piccolo scontato e tardivo passo nell'attuazione di strumenti già esistenti». Quanto al codice doganale, «Il Parlamento Europeo sta discutendo una proposta di modifica del Regolamento CE n. 450/2008 che istituisce il codice doganale comunitario per rinviarne, tra le altre cose, l'entrata in vigore, inizialmente prevista per il 24 giugno 2013. Le date e lo svolgimento del processo di istituzione del codice doganale sono, dunque, ben diverse da quanto Cappellacci e i suoi, forse ignari di quanto sottoscritto, hanno dichiarato».
Eppure Cappellacci, intervenendo il primo giugno alla manifestazione per la zona franca, ha detto con una buona dose di demagogia: «Noi saremo presenti a quel tavolo, con il contributo dei movimenti e con il sostegno di chi ha a cuore questa battaglia. Non è la battaglia di un singolo o di una fazione politica, ma di tutti i sardi. La Regione ha compiuto i passaggi necessari nei confronti dello Stato e dell'Unione Europea. Quest'ultima richiede un pronunciamento del governo nazionale. Per questo, insieme ai sindaci, ai movimenti e a tutti coloro i quali condividono questa giusta rivendicazione dobbiamo esercitare la pressione necessaria ad ottenere questo giusto riconoscimento. Spesso le ragioni dei sardi vengono negate dallo Stato centrale perché siamo pochi e perché ci dividiamo. Non dividiamoci e coinvolgiamo anche coloro i quali sono scettici circa la possibilità di raggiungere questo obiettivo. Portiamo a Roma una sola voce, un solo urlo: quello del popolo sardo»
Ma Cappellacci ha un problemino che non svela nei comizi: dopo lo scandalo finanziario che ha messo in ginocchio l’economia di Cipro (di fatto una grande zona franca, una specie di bisca finanziaria dove scorrazzavano banche internazionali, miliardari e la mafia russa) qualche giorno fa il Consiglio dei ministri europei, su richiesta del presidente di centro-destra della Commissione Ue Manuel Barroso, ha ulteriormente chiuso ogni possibilità di costituire in Europa e nei territori di oltremare insulari dei Paesi europei (Francia e Gran Bretagna) altri paradisi fiscali e zone franche ed ha proposto un giro di vite in quelli esistenti, fino a riportarli all’interno di un normale regime tributario.
Come ricorda la Barracciu, «Va distinto il caso delle zone franche doganali che includono già la Sardegna - come porti ed aeroporti - da quello di altri territori dell'Unione Europea che per ragioni storiche, geografiche, economiche estremamente particolari possono godere di agevolazioni fiscali, commerciali, doganali e in materia di agricoltura e pesca. Si tratta di territori e di alcune isole, come le Canarie, le Azzorre, e piccoli altri atolli che, per evidenti peculiarità in termini di grandezza e di distanza dalla terraferma, godono di condizioni privilegiate. E' qui che, al pari di queste minuscole parti di terra distribuite nell'oceano, Cappellacci vorrebbe farci credere di star lavorando per inserire la Sardegna. Cappellacci sa bene che si tratta di una prospettiva impensabile», è la stessa cosa che qualcuno vorrebbe farci credere realizzabile per l’Isola d’Elba che non è né le Azzorre lontanissime dalla terraferma né, nonostante i trascorsi napoleonici, un Territorio di oltremare francese sperduto nell’Oceano Indiano o Pacifico, o nei Caraibi.
Forse, invece di continuare a credere (o meglio a far credere) nella irrealizzabile favola dell’Elba Porto Franco che un complotto pluto-giudaico-regionale non vorrebbe farci realizzare, sarebbe bene cominciare a ragionare di cose serie, come le nuove linee guida sugli aiuti di Stato a finalità regionale approvate il 30 maggio la Commissione sviluppo regionale del Parlamento europeo. Sono stati accolti tre emendamenti della Barracciu che inseriscono le regioni insulari (quindi ancora una volta non l'Elba) tra i territori beneficiari degli aiuti di stato a finalità regionale. Con l'emendamento Barracciu, la Commissione Europea dovrebbe includere da subito la Sardegna e le altre regioni insulari (quindi non l’Elba) tra i beneficiari degli aiuti sottraendole così alla discrezionalità dei rispettivi Stati membri.
Più interessanti, e forse con la possibilità di inserirci, sono altri due emendamenti della Barracciu approvati dalla Commissione sviluppo regionale dell’Eroparlamento: il riconoscimento degli aiuti di Stato alle isole come adeguato risarcimento dell'insularità e l’innalzamento per i territori insulari dei massimali stabiliti dagli aiuti in regime di "de minimis", per i settori dell'agricoltura, della pesca e dei trasporti. «La misura – come scrive La Nuova Sardegna - è giustificata dalla necessità di sostenere le azioni delle isole nel recupero dei livelli di competitività rispetto alle regioni continentali». La Barracciu spiega: «Eliminare la discrezionalità del governo negli aiuti di Stato indirizzati alla nostra isola e innalzare il livello degli aiuti "de minimis" nei settori vitali per l’economia e lo sviluppo della nostra regione, come sono l’agricoltura, la pesca e i trasporti rappresenta un passo decisivo e concreto per ridurre il divario che separa l’Isola dalle altre regioni continentali».
Un’altra grande opportunità potrebbe venire dall’attuazione nelle isole europee delle misure di Europa 2020 e per la Crescita Blu. Il 23 aprile, su invito dell’eurodeputato Verde corso François Alfonsini, alla Conferenza delle regioni marittime periferiche (Cpmr, delle quali fa parte la Toscana e che raggruppa circa 160 regioni europee appartenenti a 28 Stati, membri e non dell’Unione europea), si è parlato per la prima volta di “Isola 2020”, un’idea portata avanti proprio da Alfonsi e sostenuta dai sardi Barracciu e Giommaria Uggias.
Dopo il dibattito sulla futura politica di coesione dell’UE, nella Commissione affari e sviluppo regionale del Parlamento europeo è stato sollevato a più riprese il tema di un possibile trattamento speciale per i territori insulari (quindi non solo per Regioni e Stati). Dalla commissione Affari regionali del Parlamento europeo partirà «Una richiesta di aggiornamento della programmazione comunitaria 2014-2020 per sviluppare le potenzialità delle isole europee, con la possibilità anche di creare un fondo a loro dedicato, che nel settennio 2014-2020 arrivi a stanziare fino a 1,6 miliardi di euro», per dare gambe alla proposta per un progetto pilota per aiutare le regioni insulari a realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020. Secondo la proposta ratificata dalla Cpmr, Isola 2020 punta ad aiutare l’insieme delle isole costiere dell’Unione, le autorità regionali insulari e i piccoli Stati insulari, oltre 11 milioni di cittadini europei, che finanzierebbero così, attraverso sovvenzioni e strumenti finanziari, quei progetti che servano a raggiungere gli obiettivi di Europa 2020.
François Alfonsi ha spiegato: «Vogliamo far capire che l’accesso al mercato unico dalle isole è più difficile e costoso. Bisognerebbe dunque consentire alle isole delle condizioni meno rigorose o più vantaggiose per il loro sviluppo regionale. Parliamo di allocazioni speciali, di aiuti di Stato, di finanziamenti più vantaggiosi… Vorremmo progressivamente che si prendessero in considerazione dei regolamenti che si carichino le difficoltà dello sviluppo economico nelle isole. La richiesta prende spunto dall’articolo 174 del Trattato di Lisbona, che riconosce la specificità delle isole, e anche dalle conclusioni del Consiglio europeo dell’8 febbraio, che ai punti 44 e 51 riconosce la specificità proprio degli Stati e delle regioni insulari. Considerando che le allocazioni supplementari sono state concesse alle regioni ultraperiferiche, a bassa densità di popolazione, a quelle montagnose e a Malta e Cipro, perché non è stata pensata nessuna misura concreta per le tutte le isole? Bisogna rendersi conto della fragilità dell’economia delle isole. Noi abbiamo preso l’iniziativa, ora vedremo se il progetto pilota sarà tenuto in conto: dopo la proposta della commissione Regioni, il progetto pilota sarà esaminato dalla commissione ad hoc e dovrà essere valutato. Sicuramente se ne parlerà dopo ottobre, comunque entro fine anno».
Forse sarebbe bene cominciarne a parlarne anche all’Elba, invece a continuarci a raccontare la favola della Zona Franca, come se fossimo un’area in crisi industriale di una regione autonoma o un atollo sperso nell’Oceano.