Genova, 21 luglio 2001, come dimenticare? Giornata tanto attesa da chi diceva che un altro mondo era possibile: basta guerre, basta sfruttamento degli uomini, delle donne e della terra. Arrivammo a Genova prima delle nove. Ci dirigemmo subito proprio nella scuola "Diaz". Dovevamo partecipare alla conferenza stampa con l'allora presidente della Regione Toscana Claudio Martini, in appoggio al movimento no global; all'epoca io ero assessore del Comune di Castagneto e mi destreggiavo tra gli impegni istituzionali e i turni alle acciaierie.
Ricordo bene che non riuscivamo quasi a sentirci, tanto era forte il rumore degli elicotteri che giravano sulle nostre teste, sembrava di essere entrati in un film di guerra. La scuola era diventata un enorme dormitorio dei manifestanti, dappertutto sacchi a pelo, materassini, zaini. Prima di immetterci nel corteo, vedemmo una cinquantina di black bloc che tranquillamente si stava preparando con spranghe, catene e maschere antigas. La polizia, poco distante, era indifferente. In testa al corteo già si alzava il fumo dei candelotti lacrimogeni e le urla degli scontri; il lungomare di Genova era tutto devastato: negozi, banche, auto. Poi incominciarono le cariche della polizia ed allora fu un si salvi chi può. Dappertutto vedevi correre gente terrorizzata e in preda al panico. Non avevamo più acqua, io non riuscivo quasi più a parlare. Durante il viaggio di ritorno ci rendevamo conto che avevamo partecipato ad una giornata storica.
Ma mai ci saremmo immaginati gli orrori della scuola "Diaz" e della caserma di Bolzaneto: in pratica, il fascismo redivivo. Il 21 luglio 2002 tornai a Genova, con il gonfalone del comune, soprattutto per ricordare Carlo Giuliani. Ma il clima era cambiato, l'11 settembre 2001 era avvenuto l'attentato alle torri gemelle ed era partito il mantra che chi voleva un mondo diverso era un terrorista, o quasi. Aveva vinto il mercato con il suo pensiero unico. Così anche a Piombino hanno imperversato le multinazionali, tutte accolte con il tappeto rosso, e continua la depredazione dei diritti dei lavoratori e dell'ambiente. Fino a far diventare Piombino la città delle macerie: acciaierie, Magona, ospedale, Rimateria... Se quelle macerie vogliamo rimuoverle, incominciamo ad ammettere che, se un mondo diverso era necessario nel 2001, oggi lo è ancora di più. Anche per il nostro territorio.
Paolo Francini, cassintegrato JSW