Riceviamo dall'Amministrazione Comunale di Campo nell'Elba e pubblichiamo:
L’Amministrazione comunale di Campo nell’Elba è costretta a prendere posizione sulle esternazioni dell’ex titolare – ma ugualmente gestore di fatto – della società che esercita attualmente i Bagni Barbatoja della frazione di Fetovaia.
Questi presenta sé e indirettamente la propria famiglia che ha realizzato lo stabilimento balneare, quali vittime di soprusi, angherie, a vantaggio di presunti terzi che, peraltro, nel consueto costume di chi diffama, non indica in alcuna maniera.
Ed allora è bene riepilogare l’intera storia di questi soggetti che da decenni ormai si comportano come se fosse loro possibile qualsiasi cosa a totale spregio delle leggi vigenti.
La storia inizia ancor prima della emanazione della prima legge sul condono edilizio (L. 47/1985), allorché il Comune ordinò alla Società che a quei tempi gestiva lo stabilimento (di cui era titolare il padre dell’odierno redattore delle esternazioni) la demolizione di una serie di manufatti realizzati sull’area demaniale data in concessione. L’ordinanza venne impugnata al TAR. Che respinse il ricorso confermando l’ordine di demolizione.
Prima che questo venisse eseguito intervenne la legge sul condono edilizio.
La società allora gestore dello stabilimento chiese il condono non solo per i manufatti realizzati sul demanio marittimo dato in concessione, ma altresì per un altro immobile realizzato alle spalle dello stabilimento, in area privata, denominato Ristorante-Pizzeria Bambù che la stessa società aveva costruito del tutto abusivamente in totale mancanza di qualsivoglia titolo edilizio e ambientale.
All’esito della complessa istruttoria il condono venne negato dal Comune. Relativamente agli abusi sulla spiaggia in quanto di qualità infima ed oltretutto in buona parte costruiti su area assistita da vincolo di inedificabilità assoluta, con conseguente insanabilità dell’abuso. Relativamente alla struttura realizzata in area privata per la sua qualità pessima, totalmente incompatibile con i valori ambientali della zona, oggetto di specifico vincolo bellezze naturali dichiarato dallo Stato Italiano sin dai primi anni Cinquanta.
Venne pertanto ordinata la demolizione di tutti i manufatti. E, per quanto attiene all’edificio costruito in area privata, non avendo la società ottemperato all’ordine di demolizione, lo stesso e l’area di sedime vennero acquisiti al patrimonio comunale, come la legge sancisce che debba essere fatto in questo caso.
Ovviamente la società fece ricorso al TAR impugnando sia i provvedimenti relativi ai manufatti sulla spiaggia sia i provvedimenti relativi all’immobile costruito in area privata.
Il TAR respinse entrambi i ricorsi. E non perché ‘siamo in Italia’ come sostiene questo Signore. Ma perché i provvedimenti del Comune erano del tutto legittimi e giustificati. Tanto più che la società fece ricorso al Consiglio di Stato. Ed il Consiglio di Stato confermò pienamente le decisioni del TAR. Non paga di ciò, la società avanzò perfino ricorso in revocazione presso il Consiglio di Stato contro le decisioni dallo stesso assunte. Ricorso in revocazione che venne ugualmente respinto. Ed ancora una volta non perché ‘siamo in Italia’! Ma perché l’operato dell’Amministrazione era stato perfettamente legittimo mentre il comportamento della società illegittimo.
Nel mezzo vi fu anche la richiesta avanzata al Comune di consentire la ristrutturazione dei manufatti realizzati sul demanio marittimo in concessione, con spostamento dei medesimi verso il Fosso del Canaletto che attraversa la zona. Ben strana richiesta! Richiesta di ristrutturazione di manufatti già dichiarati del tutto abusivi! Ovviamente il Comune la respinse, sia per l’abusività dei manufatti da ristrutturare sia per l’ulteriore avanzamento in area del tutto inedificabile per legge. Il rigetto venne impugnato al TAR. Poi al Consiglio di Stato. I Giudici amministrativi ovviamente respinsero i ricorsi. Fece seguito ulteriore ricorso in revocazione. Respinto.
A questo punto il Comune poté finalmente procedere alla demolizione dell’obbrobrio realizzato abusivamente in area privata ed acquisito al patrimonio comunale. Purtroppo non fu possibile addebitare i costi della demolizione alla società che a suo tempo l’aveva realizzato, come la legge prevede, poiché nel frattempo la stessa società era stata opportunamente posta in liquidazione ed estinta. Così da far ricadere i costi di abusi illegittimamente realizzati da soggetti inadempienti nelle tasche dei cittadini.
Di questo stiamo parlando.
Per le opere abusive realizzate sulla spiaggia in concessione, di cui dal Tar e dal Consiglio di Stato, con doppia pronuncia, era stato dichiarato legittimo l’ordine di demolizione, quest’ultima non è mai avvenuta.
Ma per fortuna ci ha pensato la natura che, tra mare e Fosso del Canaletto, già ben prima dell’ottobre del 2018 è opportunamente intervenuta provvedendo direttamente a spazzare via tutto.
A questo punto l’attuale società in un primo tempo presentò un progetto di riqualificazione con il quale chiedeva, oltretutto, di poter ricevere in concessione quella stessa area in cui i predecessori avevano realizzato l’abuso poi demolito a spese dei cittadini.
Il Comune rifiutò. Il rifiuto venne impugnato al Tar. Il giudizio venne rinunciato a fronte della presentazione di una Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (CILA), nell’anno 2018, con la quale si comunicava l’intento di realizzare, sulla spiaggia e sul retrostante parcheggio privato, le opere di cui oggi si parla nelle esternazioni dell’ex titolare e gestore di fatto della Società.
La CILA in questione venne sospesa. Per due ragioni. Perché propinava come ristrutturazione edilizia di edifici esistenti quella che, a seguito della più volte accertata dal Giudice amministrativo totale abusività dei manufatti preesistenti, era di fatto una nuova costruzione, non assentibile con semplice CILA. Inoltre perché disponeva la costruzione di manufatti entro l’area di 10 metri dal Fosso del Canaletto che, per legge, è area vincolata a inedificabilità assoluta.
La sospensione venne impugnata al TAR con richiesta anche di sospensione cautelare. Profittando del fatto che l’udienza di sospensione cautelare venne tenuta prima che il Comune avesse il tempo di nominare il difensore e costituirsi in giudizio, la Società, che aveva prospettato nel ricorso i fatti in maniera difforme da quanto i Giudici avevano già accertato e sorvolando sul problema della inedificabilità in prossimità del Fosso, riuscì a strappare direttamente una sentenza breve che accolse il ricorso e annullò l’ordine di sospensione.
Il Comune fece ricorso al Consiglio di Stato. Quest’ultimo, rilevato che era di per sè comunque palesemente fondata la censura relativa all’inedificabilità entro i 10 mt dal Fosso, pur non affrontando il problema dei precedenti abusi accolse l’appello, annullando la sentenza del TAR. Nel frattempo il Comune, per evitare che venisse realizzata un’opera palesemente illegittima, aveva reiterato l’ordine di sospensione. La società aveva impugnato anche questa nuova ordinanza ed il Tar l’aveva sospesa. Ma a seguito dell’intervenuta sentenza del Consiglio di Stato, ha alla fine ugualmente respinto il ricorso risultando legittima la sospensione ordinata da Comune.
La società, ancora una volta non paga delle decisioni del Giudice Amministrativo, siccome a suo parere quest’ultimo decide contro di lei perché ‘siamo in Italia’, ha persino presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza del Consiglio di Stato sollevando addirittura un preteso vizio di difetto di giurisdizione. La Suprema Corte ha ovviamente dichiarato il ricorso inammissibile, confermando ancora una volta le ragioni dell’Amministrazione.
Ed allora la società ha di fatto riproposto lo stesso progetto sotto forma di Comunicazione di Inizio Lavori (CIL) per opere ritenute ‘prive di rilevanza edilizia’ (per legge si tratta di opere precarie e facilmente amovibili). E le ha realizzate. Inserendovi, oltretutto, ulteriori manufatti privi di legittimazione. E quindi ancora una volta abusivi, ma almeno sanabili ove ne fosse mantenuta la permanenza solo temporaneamente per la stagione balneare. Quando l’Amministrazione le ha fatto notare che questi ulteriori manufatti erano abusivi ma sanabili, ha accettato di sanarli e li ha regolarmente rimossi alla fine di ciascuna stagione. Magari in ritardo. Ma li ha rimossi.
Per le opere invece fatte passare per ‘prive di rilevanza edilizia’, di fatto una realizzazione puramente elusiva di quanto il Consiglio di Stato aveva già dichiarato illegittimo, ha nuovamente sfidato l’Amministrazione. Il Comune ne ha ordinato la demolizione con due ordinanze. Una relativa alle opere realizzate sul demanio in concessione ed una per le opere realizzate nel parcheggio privato. La società ha impugnato le ordinanze al TAR. Il Tribunale amministrativo ha ordinato una verificazione nella quale il tecnico nominato (Genio Civile di Grosseto) ha compiuto il rilievo delle opere realizzate, ma si è spinto fino a valutazioni sul loro rientrare o meno nelle definizioni stabilite dalla legge, valutazioni che non competono al tecnico cui sono stati ordinati rilievi, ma ovviamente solo al Giudice, come il Comune non ha tardato di far rilevare.
Ed infatti il TAR, non perché ‘siamo in Italia’ ma perché questa è la realtà dei fatti, ha dichiarato:
- Che le opere realizzate con la CIL sono un tentativo di eludere quanto il Consiglio di Stato aveva già dichiarato illegittimo;
- Che le stesse non sono affatto opere prive di rilevanza edilizia, bensì opere che costituiscono nuova occupazione edilizia del suolo, a carattere stabile e permanente, posta in essere in violazione delle norme di tutela dei corsi d’acqua.
- Che persino nel caso le si volesse inquadrare come opere prive di rilevanza edilizia ugualmente le stesse sono state poste in essere senza chiedere la relativa necessaria autorizzazione prevista dalla legge, e senza possibilità di sanatoria essendo quest’ultima stata richiesta a termini ampiamente scaduti.
Il TAR ha ancora una volta confermato l’irresistibile tendenza di questi soggetti all’abuso edilizio, alla deliberata violazione della legge o, in alternativa, al tentativo di eluderla.
L’Amministrazione ha confermato l’ordine di demolizione delle opere.
E siccome l’abuso edilizio costituisce pacificamente cattivo uso della concessione, violazione di legge e inadempimento agli obblighi della concessione stessa, ne ha definitivamente denegato l’estensione. Come le stesse norme che il Signor Martinenghi cita – ma evitando di richiamare proprio i passaggi che riguardano la società che di fatto gestisce – autorizzano pienamente a fare.
Nel citare infatti il decreto rilancio, questi omette strumentalmente di aggiungere il passaggio finale della stessa norma da lui riportata, in cui si afferma che ‘ Le disposizioni del presente comma non si applicano quando la devoluzione, il rilascio o l'assegnazione a terzi dell'area sono stati disposti in ragione della revoca della concessione oppure della decadenza del titolo per fatto e colpa del concessionario’.
Per fortuna che ha almeno la buona grazia di rammentare di aver versato (tardivamente) i 274.000,00 euro che la società aveva evaso per tasse comunali per i rifiuti.
E’ pieno diritto dell’Amministrazione non estendere le concessioni di demanio marittimo a questi autentici professionisti dell’abuso, che sono già costati ai cittadini decine di migliaia di euro, e che altrettanti sono stati condannati a pagare all’Amministrazione per le innumerevoli azioni giudiziarie che hanno intentato ed hanno tutte, ma proprio TUTTE, sinora perduto. Spese che ancora ad oggi non hanno finito di saldare.
Altro che interessi di ignoti beneficiari! Altro che esposti contro presunti abusi! E’ questa stessa Amministrazione che provvederà nei prossimi giorni a querelare questi soggetti per il loro comportamento, non ultimo questo improvvido e diffamatorio messaggio con il quale si tenta, contro l’evidenza dei fatti e delle sentenze, di addossare al Comune le responsabilità per fatti dovuti invece all’illegittimo ed inqualificabile comportamento di queste stesse persona e società.
Tutto quanto sopra riportato è scritto nelle sentenze dei Giudici. L‘Amministrazione può dimostrarlo in ogni sede.
Comune di Campo nell'Elba
Per completezza di informazione riportiamo, qui di seguito, anche il testo della nota del soggetto che ha polemizzato con la Amministrazione Comunale Campese
In data 7 maggio 2021 ho depositato un'esposto presso la Procura di Livorno nei confronti di alcuni amministratori e funzionari del Comune di Campo nell'Elba, per chiedere una verifica di legittimità di atti e condotte degli ultimi quattro anni in danno del complesso Barbatoja, il primo stabilimento balneare impiantato all'Elba da mio padre nel 1961. Nell'esposto ho indicato con nome e cognome i responsabili e i beneficiari delle condotte denunciate. Può essere un caso che nel 2018 l'Amministrazione Montauti abbia contestato dopo sessant'anni la legittimità dei Bagni Barbatoja? E che nel 2019 abbia tentato di impedirne la ricostruzione dopo la mareggiata dell'ottobre 2018 che li aveva semidistrutti, nonostante il progetto di riqualificazione dell'arch. Massimiliano Pardi sia stato approvato dai cinque Enti competenti? E che nel 2020 L'Amministrazione abbia tentato in ogni modo di far decadere le concessioni demaniali prorogate automaticamente al 2033 ex lege 145/2018? Prima ha contestato che erano scaduti i termini per avvalersi della proroga; poi ha modificato il regolamento comunale per imporci a Natale in scadenza di concessioni il pagamento entro fine anno di cartelle per "tassa rifiuti" ammontanti ad € 274.000,00 (!) già contestate in commissione tributaria, pena la minacciata revoca delle concessioni demaniali; infine ha contestato che la riqualificazione di stabilimento balneare e parcheggi realizzata con il progetto autorizzato era in realtà abusiva, e ne ha ingiunto la demolizione integrale con le ordinanze n°70 e 71. E siamo all'oggi. Impugnate le due citate ordinanze di demolizione, il TAR le ha sospese cautelativamente ed ha ordinato al Genio Civile (la massima Autorità in materia) di compiere una verifica in loco per fare definitiva chiarezza. Il Genio Civile lo scorso aprile ha attestato che le opere NON SONO ABUSIVE MA REGOLARI e che andava sgomberata da manufatti la fascia di rispetto di mt. 4 dal fosso (vedi allegato 1). La nostra società provvedeva immediatamente e ne dava comunicazione al Comune. Sorprendentemente però - siamo in Italia... - il TAR disattendeva il parere del Genio Civile da esso stesso richiesto ed in sentenza ordinava lo sgombero di una fascia di rispetto di mt. 10, dunque maggiore dei mt. 4 già sgomberati. Pertanto la nostra società il 16 luglio scorso comunicava al Comune che avrebbe impugnato parte della la sentenza presso il Consiglio di Stato e che in attesa del parere di esso avrebbe sgomberato tale fascia di mt. 10 a settembre (vedi allegato 2). In tutta risposta l'Amministrazione il 22 luglio scorso ha emesso due provvedimenti. Con ordinanza n° 64 ha ingiunto la demolizione integrale di stabilimento balneare e parcheggi entro 10 giorni; e con nota a parte ha comunicato il diniego di proroga delle concessioni per gli abusi edilizi ancora da dimostrare ed ha ingiunto di sgomberare l'area in concessione dallo stabilimento balneare. L'Amministrazione si è forse dimenticata di avere prorogato le concessioni anche a noti stabilimenti balneare Campesi con gravi abusi edilizi accertati in via definitiva (motivo per cui con l'esposto si è chiesta l'acquisizione dei relativi fascicoli per verificare eventuali discriminazioni). Atti per porre fine all'esistenza degli storici Bagni Barbatoja, emessi nonostante la sentenza del TAR non sia definitiva ma appellata al Consiglio di Stato (vedi allegato 3); nonostante l'Ordinanza Comunale n°51/2021 vieti l'apertura di cantieri in piena stagione; e nonostante sia in vigore il DECRETO RILANCIO del Governo, che a tutela dei concessionari demaniali sospende ogni procedimento amministrativo di sgombero delle concessioni demaniali: "Fermo restando quanto disposto nei riguardi dei concessionari all’articolo 1, commi 682 e seguenti, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, per le necessità di rilancio del settore turistico e al fine di contenere i danni, diretti e indiretti, causati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, le amministrazioni competenti non possono avviare o proseguire, a carico dei concessionari che intendono proseguire la propria attività mediante l’uso di beni del demanio marittimo, i procedimenti amministrativi per la devoluzione delle opere non amovibili, di cui all’articolo 49 del codice della navigazione, per il rilascio o per l’assegnazione, con procedure di evidenza pubblica, delle aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. L’utilizzo dei beni oggetto dei procedimenti amministrativi di cui al periodo precedente da parte dei concessionari è confermato verso pagamento del canone previsto dall’atto di concessione e impedisce il verificarsi della devoluzione delle opere....». Dunque l'Amministrazione NON PUO' legittimamente ordinare la demolizione di stabilimento balneare e parcheggi entro 10 giorni per abusi edilizi che il Genio Civile ha già escluso; nè per questo può revocare le concessioni e ordinare lo sgombero dell'area in concessione, tantomeno durante l'emergenza COVID appena prolungata al 31 dicembre prossimo. Eppure l'ha fatto, come se le citate norme non esistessero e come se non sapesse che la chiusura in agosto di uno dei due stabilimenti balneari e dei due parcheggi che assorbono il 60% dei posti auto della località già "tutto esaurito", farebbe precipitare nel caos la spiaggia di Fetovaia. E invece lo sa bene. A questo punto il lettore si chiederà: a chi giova tutto ciò? La risposta è nell'esposto, le cui indagini sono in pieno svolgimento. Al lettore basti sapere che quando un privato non ottempera l'ordine di demolizione di abusi edilizi nel termine assegnato, l'Amministrazione comunale può acquisire di diritto senza corrispettivo l'area al patrimonio comunale per provvedere in vece del privato. E quando l'Amministrazione revoca le concessioni demaniali e le assegna ad un terzo "in buona fede", il concessionario può solo rivalersi in giudizio contro il Comune per i danni patiti, non per riavere lo stabilimento balneare ormai perduto. Senza contare che in caso di tutela dell'ordine e della viabilità pubblica - è il caso dei parcheggi, che chiusi getterebbero nel caos la viabilità e ricettività di Fetovaia- il Sindaco può ordinare il sequestro e l'utilizzo dell'area. Al lettore trarre le conclusioni. Infine, mi vedo costretto ad appellarmi con rispetto da cittadino e rappresentante di categoria alla Capitaneria di Porto ed ai Carabinieri, Forze dell'Ordine alle quali l'Amministrazione Comunale ha imprudentemente trasmesso per conoscenza i due citati atti di demolizione e revoca. Pendenti i ricorsi a TAR e Consiglio di Stato e con le citate normative in vigore, fate attenzione a non farvi strumentalizzare. E' già accaduto nel maggio 2019, quando il Comune ingiunse per la terza volta la sospensione dei lavori nonostante l'ordinanza cautelare del TAR avesse sospeso anche la seconda ordinanza comunale di sospensione lavori per tutelare i nostri diritti. Allora tecnici e vigili comunali per imporre la sospensione dei lavori si fecero accompagnare dai Carabinieri della Stazione di Marina di Campo guidati dal marito della titolare dello stabilimento balneare concorrente. Nella circostanza obbedii come dovuto, ma poi mi rivolsi alla Questura di Livorno presso il Commissariato di Portoferraio nella persona del dott. Pietro Scroccarello ed i lavori ripresero legittimamente senza più molestie. Come confido continuerà la legittima attività del nostro complesso balneare, in attesa che la Giustizia faccia il proprio corso in ogni sede, senza interferenze indebite che causerebbero danni irreparabili.
Grazie per l'attenzione.
Il comproprietario dei Bagni Barbatoja e
Responsabile CONFCOMMERCIO-S.I.B. dei Balneari Elbani
Stefano Martinenghi